Nello stesso volume della biblioteca gnostica di Nag Hammâdi che contiene il Vangelo di Tommaso, anzi proprio in continuazione ad esso, si trova il Vangelo di Filippo. Il manoscritto, conosciuto già ai tempi di Epifanio (Eleuteropoli ca.310-403), ma scarsamente menzionato dai Padri della Chiesa, ha una datazione approssimativa che lo colloca intorno all'anno 330 d.C. ma l'originale in lingua greca risale senza dubbio fra la fine del I e gli inizi del II secolo (90 ÷ 120 d.C.). Si può con una certa sicurezza affermare che il manoscritto (i cui legami con la letteratura neotestamentaria canonica sono ancora piú effimeri che nel Vangelo di Tommaso), è da ascrivere ai valentiniani. Molte espressioni del Vangelo di Filippo ricordano i versetti dei sinottici (in particolare Giovanni e Lettere di Paolo ma in un contesto e con accezioni ben diverse) e questo fa, pensare concordemente con i maggiori esperti del settore, ad una fonte comune da cui sia Filippo che gli evangelisti canonici e Paolo hanno ricavato le sentenze, utilizzandole peró ciascuno in modo differente. La scoperta dello straordinario testo ha costituito un avvenimento di colossale importanza e reca un contributo notevolissimo alla conoscenza diretta del pensiero e della letteratura gnostica, di cui fino ai ritrovamenti di Nag Hammâdi, la storia era quasi completamente all'oscuro, anche purtroppo a seguito della capillare e rigida opera di distruzione dei documenti gnostici da parte della Chiesa dopo il Concilio di Nicea. Sebbene in misura assai minore che in Tommaso, anche Filippo ci fornisce un contributo per l'importante problema della ricostruzione, piú remota ed attendibile possibile del kerygma cristiano.