L’Irpef (imposta sul reddito delle persone fisiche) è nata con la riforma tributaria del 1973. Sono soggette all’imposta le persone fisiche e in alcuni casi le società, che però la versano attraverso i soci. Chi risiede in Italia paga sui redditi prodotti in patria o all’estero, mentre i non residenti pagano per i redditi prodotti nel territorio italiano. Il gettito Irpef complessivo è di circa 180 miliardi di euro l’anno (dato 2016) , pari a oltre un terzo del totale delle entrate tributarie.
Esempio di calcolo dell’Irpef fino al 2006 - Per capire meglio facciamo un esempio di applicazione della cosiddetta "no tax area" in vigore fino all’anno fiscale 2006. Un lavoratore dipendente ha un imponibile di 20.000 euro. Gli spetta una deduzione teorica di 7.500 euro (3.000 euro è quella base uguale per tutti, cui se ne aggiungono altre 4.500 specifiche per i dipendenti). Per calcolare la deduzione effettiva si sommano i 7.500 all’importo fisso di 26.000 e poi si sottrae il reddito: 26.000+7.500-20.000=13.500. Questa somma viene divisa per 26.000: si ottiene (considerando solo le prime quattro cifre decimali) 0.5192 che è la percentuale di deduzione spettante: dunque 7.500*0.5192=3894 è l’importo che va sottratto al reddito di 20.000 euro, ottenendo 16.106. A questa somma si applica l’aliquota del 23 per cento (che vale fino ai 26.000 euro): dunque l’imposta dovuta è di 3.704,38 euro. Come si vede è un conteggio non diffile ma nemmeno immediato. Un meccanismo analogo era utilizzato per le deduzioni familiari.
Esempio di calcolo dell’irpef con le regole attuali - Il meccanismo introdotto dal 2007 ripristina il principio della detrazione d’imposta, che però non è più fissa ma decrescente. Vediamo come cambia lo stesso esempio. Sul reddito di 20.000 euro del nostro lavoratore dipendente si applicano prima le aliquote. Dunque 15.000*0.23+5.000*0.27=3.450+1.350=4.800 euro: questa è l’imposta lorda. La detrazione base (al di sopra dei 15.000 euro di reddito) è di 1.338 euro. Va applicata in ragione della "distanza" dal tetto di 55.000 euro. Quindi (55.000-20.000)/40.000=35.000/40.000=0.875 (nel caso di più decimali si considerano al solito i primi quattro). 1338*0.875=1170,75 euro è la detrazione effettiva. Sottraendola dall’imposta lorda, otteniamo l’imposta netta: 4.800-1.170,75=3.629,25 euro. Le detrazioni familiari funzionano in maniera simile.
Le detrazioni permettono di ridurre l’imposta lorda, determinando così quella netta. Vengono riconosciute per spese sostenute dal contribuente, oppure sono legate alla sua condizione, come quella di lavoro dipendente, pensionato, persona che ha familiari a carico e così via. Possono essere in misura fissa oppure decrescente al crescere del reddito. Ad esempio viene riconosciuta una detrazione pari al 19 per cento della spesa sostenuta per gli interessi passivi dei mutuo fino a ad un massimo di 4.000 euro: quindi dall’imposta possono essere detratti fino a 760 euro. Nel caso di un lavoratore dipendente con reddito di 25.000 euro la relativa detrazione vale 1.113,30 euro: sotratta all’imposta lorda (6.150) dà un’imposta netta di 5.036,70 euro.
Se le detrazioni sono decrescenti al crescere del reddito, come quelle per lavoro o pensione o per carichi familiari, un incremento di reddito provoca, oltre all’eventuale passaggio allo scaglione superiore e quindi ad un’aliquota più alta, anche la riduzione dell’importo della detrazione stessa e di conseguenza l’aumento dell’imposta netta. Anche per questo motivo chi guadagna di più ha una maggiore incidenza percentuale del prelievo, ovvero versa al fisco una quota maggiore del proprio reddito.
Con la deduzione un certo importo viene sottratto dal reddito imponibile prima che su questo vengano applicate le aliquote dell’imposta e quindi fatto diventa esente dalla tassazione. Il conseguente "sconto" corrisponde all’aliquota che si sarebbe pagata su quell’importo. Così ad esempio deducendo 1.000 euro da un reddito di 30.000 questo scende a 29.000 e si risparmiano 380 euro ovvero il 38 per cento dell’importo dedotto (risparmio a cui si aggiunge quello delle addizionali non pagate).
L’aliquota marginale è quella applicata sull’ultima porzione di reddito e con la quale verrebbe quindi tassato l’importo derivante da un suo incremento. Ad esempio per un reddito di 30.000 euro l’aliquota marginale è il 38 per cento: se il reddito aumenta di 1.000 euro 380 vengono assorbiti dall’Irpef. Ma al di là di quella nominale, l’aliquota marginale effettiva è normalmente più alta, perché all’effetto dell’aliquota si aggiunge quello delle minori detrazioni per lavoro ed eventualmente per carichi di famiglia conseguenti all’incremento del reddito.
"No tax area" è il nome non tecnico della soglia di reddito entro la quale l’imposta dovuta è pari a zero. Non si tratta di un’esenzione fissata direttamente dalla legge, ma del risultato dell’applicazione delle diverse detrazioni per lavoro dipendente o pensione o da lavoro autonomo, che sono decrescenti al crescere del reddito. Di conseguenza la no tax area varia a seconda delle diverse categorie di contribuenti: è pari a circa 8.145 euro per i lavoratori dipendenti, a circa 8.130 per i pensionati, a 4.800 per i lavoratori autonomi. Tenendo conto anche delle detrazioni per familiari a carico, la no tax area per una famiglia monoreddito formata da due genitori e due figli è di circa 16.340 euro. L’azzeramento dell’Irpef porta con sè quello delle relative addizionali regionale e comunale.