Razzismo: discriminazione verso persone che si identificano attraverso la loro regione di provenienza, cultura, religione, etnia, sesso, sessualità
Categoria : DIALOGO CON L'EDITORE
Pubblicato da Giuseppe Piccolo in 2/9/2018
Razzista, che incita al razzismo; il termine razzismo nella sua definizione più semplice si riferisce a un'idea, spesso preconcetta e comunque scientificamente errata, come dimostrato dalla genetica delle popolazioni e da molti altri approcci metodologici, che la specie umana (la cui variabilità fenotipica, l'insieme di tutte le caratteristiche osservabili di un vivente, è per lo più soggetta alla continuità di una variazione clinale) possa essere suddivisibile in razze  biologicamente distinte, caratterizzate da diverse capacità intellettive, valoriali, etiche e morali, con la conseguente convinzione che sia possibile determinare una gerarchia secondo cui un particolare, ipotetico, raggruppamento razzialmente definito possa essere definito superiore o inferiore a un altro. in senso più lato, e di uso non appropriato, comprende anche ogni atteggiamento passivo di insofferenza, pregiudizio, discriminazione verso persone che si identificano attraverso la loro regione di provenienza, cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico, accento dialettale o pronuncia difettosa, abbigliamento, abitudini, modo di socializzarsi o altre caratteristiche, la razza superiore non esiste. Il razzismo è la più grave minaccia dell’uomo verso l’uomo; il massimo di odio con il minimo di ragione. Le lacrime di un uomo rosso, giallo, nero, marrone o bianco sono tutti uguali. Il dolore non ha colore. 


Razzista è chi predica e pratica il razzismo, inteso sotto il profilo storico come «ideologia, teoria e prassi politica e sociale fondata sull’arbitrario presupposto dell’esistenza di razze umane biologicamente e storicamente "superiori", destinate al comando, e di altre "inferiori", destinate alla sottomissione, e intesa, con discriminazioni e persecuzioni contro di queste, e persino con il genocidio, a conservare la "purezza" e ad assicurare il predominio assoluto della pretesa razza superiore». Si parlerà allora di razzismo nazista, che evocava la superiorità della razza ariana (specialmente nella variante germanica) in funzione prevalentemente antisemita (ma non furono risparmiati gli zingari, né gli omosessuali); di razzismo della Repubblica Sudafricana, col suo apartheid, fondato sulla discriminazione razziale, sancito a livello legislativo e istituzionale fino al crollo del regime avvenuto nel 1994; di razzismo statunitense, riguardo a gruppi etnici di colore (neri in primo luogo). Esistette anche un razzismo fascista, variante italiana di quello nazista, ed ebbe come proprio organo ufficiale e strumento di giustificazione teorica il periodico «Difesa della razza», diretto da Telesio Interlandi. Sulla rivista scrisse anche Giorgio Almirante, che poi, insieme ad altri, avrebbe fondato il Movimento sociale italiano, essendone leader indiscusso nel secondo dopoguerra (segretario nazionale dal 1946 al 1950 e dal 1969 al 1987, un anno prima della morte).



Disprezzo ed emarginazione



Caviamo anche un’accezione semanticamente più estesa e slavata, ma non meno preoccupante, di razzismo, comune ai nostri giorni, derivata da quella storica, di cui si è scritto più sopra: «Più genericamente, complesso di manifestazioni o atteggiamenti di intolleranza originati da profondi e radicati pregiudizî sociali ed espressi attraverso forme di disprezzo, di emarginazione nei confronti di individui o gruppi appartenenti a comunità etniche e culturali diverse, spesso ritenute inferiori: episodi di razzismo contro gli immigrati del Terzo Mondo».

Di questo razzismo si troverebbero tracce eloquenti anche in Italia, secondo il più recente rapporto sui diritti umani confezionato da Amnesty International: il tema della sicurezza, proposto con forza come elemento discriminante nell’agenda politica italiana, avrebbe portato con sé un’amplificazione di singoli episodi di violenza, addotti dai media e dai politici come esempi di una pericolosità sociale insita nel fenomeno dell’immigrazione e nella presenza sul territorio di realtà come quella delle comunità rom, tanto da portare al tentativo di sanzionare penalmente un reato previsto all’uopo, quello di immigrazione clandestina. Va precisato che la cosiddetta "percezione" di uno stato di insicurezza e pericolo fisico è ben presente tra gli italiani, che peraltro, se intervistati sparsim dai media o sottoposti a indagini campionarie, nella stragrande maggioranza dei casi rifiutano tassativamente di considerarsi e di essere considerati razzisti.



Da un allevamento di cavalli



Qualche considerazione etimologica, che traiamo soprattutto dalla preziosa Breve storia della lingua italiana per parole di Leonardo Rossi (Loescher, 2005). Razza è da far risalire, secondo la maggioranza degli studiosi, al francese antico harazharas‘allevamento di cavalli, deposito di stalloni’. Inizialmente si applicò a specie animali o vegetali; poi ebbe il significato estensivo di ‘generazione, schiatta’ e di ‘specie, qualità’. Per trovarsi di fronte il primo uso di razza in senso antropologico, come sistema di individuazione di differenti tipi di umani catalogati in gruppi in base ai tratti somatici e fisici, bisogna arrivare in piena temperie positivistica, nel 1866; nel giro di pochi anni si parlerà di razza pura ‘senza incroci’ (1871) e di razza gialla‘razza mongolica’ (1891), mentre di razza bianca ‘razza caucasoide’ si scriveva già nel Settecento. Insomma, il razzismo come ideologia ha basi positivistiche e per strumentazione sillogismi deterministici: le razze differirebbero dal punto di vista biologico e genetico e quindi sotto il profilo delle capacità intellettuali e qualità morali. Con Hitler, la dottrina si precisa, riduce e focalizza: una razza superiore (ariana) ha per corrispettivo una nazione superiore (la Germania); la prima e la seconda, concordemente, devono eliminare le pericolose e contaminanti razzeconsiderate inferiori. Tali elementi ideologici furono recepiti anche dal fascismo mussoliniano negli anni Trenta. La prima testimonianza di razzista in italiano, non a caso, è del 1935, e non ha certo significato negativo (c’è anche un’attestazione isolata del 1907, nell’accezione neutra di ‘teorico delle razze’). Nel 1938, infatti, il regime parlò della necessità di una bonifica razzista. Di razzismo, invece, scrisse per primo Benedetto Croce nel 1932 (nel 1905, altro isolato esempio nel significato denotativo di ‘teoria delle razze’).