La prima tecnica è quella della lapidazione, tutt’oggi ancora valida in alcune parti del mondo. Le regole della lapidazione: la vittima viene avvolta in un sudario e seppellita solo in parte, dopodiché le vengono tirati addosso dei sassi fino al sopraggiungere della morte. Vengono scelti solo i sassi più piccoli per prolungare il tempo del decesso. Le donne vengono interrate fino al petto mentre gli uomini fino alla vita.La seconda tecnica è quella del rogo, usata nei tempi passati a tutti coloro ritenuti colpevoli di eresia e benchè si pensi che sia superata, questa pratica si è lasciata alle spalle una tremenda scia.
In sud Africa la situazione politica è sempre stata molto complicata scaturendo molti atti di violenza negli ultimi 30 anni, quindi come non citare la condanna conosciuta come Necklacing: un copertone viene riempito di benzina ed infilato a forza attorno al busto della vittima, in maniera tale da bloccarne anche le braccia. Dopodiché viene appiccato il fuoco. La morte sopraggiunge dopo circa 20 minuti riducendo la vittima in un ammasso di carne carbonizzata e gomma fusa.
Terza tecnica conosciuta come la divisione del corpo, un metodo di esecuzione veramente raccapricciante. Quanto di più doloroso e crudele si possa immaginare. Il condannato veniva appeso a testa in giù per le caviglie. Le sue mani erano legate dietro la schiena, a questo punto gli aguzzini posizionavano una grossa sega sull’inguine, e la vittima veniva divisa in due nella maniera più lenta possibile. Per quanto possa sembrarci assurdo, la morte sopraggiungeva spesso dopo molto tempo. Il posizionamento a testa in giù non era casuale, infatti così facendo il sangue scorreva verso il cervello, amplificando la sensazione di dolore e ritardando la morte per dissanguamento.
Uno dei metodi di esecuzione più dolorosi, crudeli e sanguinolenti della storia è stato certamente l’Aquila di Sangue. Una forma di esecuzione leggendaria, tipica delle popolazioni antiche del nord europa. Il condannato veniva spogliato ed immobilizzato su un altare in posizione prona. Il carnefice, armato di un affilato coltello, praticava un’incisione molto profonda lungo la sua schiena. Ma questo non era che l’inizio. L’aguzzino infilava a forza le mani all’interno dell’incisione praticata e, con violenza, spezzava le costole della vittima e le faceva fuoriuscire dalla schiena. Dopodiché, sempre con le mani, estraeva i polmoni dell’agonizzante condannato e li posizionava sulle sue spalle. La vittima moriva entro poco tempo per soffocamento circondata dal suo stesso sangue. Una tecnica di esecuzione raccapricciante che non si guadagna il primo posto di questa classifica solamente perché nessuno, ad oggi, è ancora riuscito a stabilire se sia stata attuata o se sia solo frutto di leggende e racconti.
La morte per scuoiamento raggiunge l’apice del sadismo umano. Per attuare questo tipo di esecuzione era necessario un boia con molta esperienza.
Infatti, oltre al compito di scuoiare il condannato a morte, premurandosi di tenerlo in vita il più a lungo possibile, doveva anche preservare la pelle della sua vittima in modo da poterla appendere per le vie della città come monito alla popolazione.
Normalmente la morte per dissanguamento sopraggiungeva dopo qualche ora, ma se il boia era esperto riusciva a compiere il lavoro senza provocare eccessive perdite di sangue. In questo caso l’agonia era prolungata ed era lo shock ad uccidere il condannato.