Il lutto è inteso come un processo psicologico di risoluzione del dolore: quest’ultimo emerge a seguito del distacco dalla persona amata ed è il sentimento prevalente di questo processo, ma non l’unico. Sono molto comuni lo stato di shock, il senso di smarrimento, l’astenia, la difficoltà di concentrazione e di comunicazione, la rabbia, il calo di peso, l’insonnia, accompagnata da difficoltà nell’addormentamento, da risvegli prematuri e da sogni incentrati sull’esperienza che si sta vivendo, e talvolta ipersonnia. Sono frequenti anche sentimenti di colpa, spesso associati all’idea di “non aver fatto abbastanza per l’altra persona”, e di rimorso.
John Bowlby, medico e analista, celebre per la sua “Teoria dell’attaccamento”, descrisse le quattro fasi che costituiscono il processo di elaborazione del lutto.
La prima fase è caratterizzata da incredulità e protesta, in cui sono frequenti esternazioni come “Non è possibile che sia successo”, da una sorta di non accettazione dell’evento, con sentimenti di rabbia anche molto accentuati, ed intenso dolore. Questa fase è la più tagliente a livello emotivo ed ha durata variabile, da pochi giorni a svariate settimane.
La seconda fase, diversamente dalla prima, in cui è prevalente una sorta di intontimento, è caratterizzata da irrequietezza, sia psichica che fisica, e da un senso di intenso desiderio e di ricerca della persona deceduta.
Nella terza fase l’individuo inizia lentamente a riprendere contatto con la realtà, seppur con una certa riluttanza: è frequente la sensazione che la vita abbia perso qualsiasi attrattiva e senso. I sentimenti prevalenti sono l’apatia e l’indifferenza verso la realtà esterna: ciò comporta la conseguente chiusura in se stessi, la presenza di pensieri costantemente rivolti alla persona scomparsa ed alla delusione, dovuta alla consapevolezza che i ricordi saranno l’unico mezzo che consentirà di mantenere un contatto con la persona amata.
La quarta fase è costituita dalla dinamicità e dalla riorganizzazione della propria vita a seguito dell’accettazione della perdita. I ricordi, che nello stadio precedente erano intesi unicamente con valenza negativa, in questa fase sono vissuti con un maggiore senso di serenità, anche se ambivalenti, in quanto elicitano sentimenti di gioia e tristezza allo stesso tempo.
Le fasi descritte da Bowlby rientrano nel processo di risoluzione del lutto cosiddetto“normale”, tuttavia, spesso, questo processo può evolvere in episodi depressivi e conseguentemente in un lutto patologico. Il lutto è un processo a tempo limitato, ma il lutto patologico sembra non avere fine, neppure a seguito di un tempo considerevolmente lungo: le persone che vivono condizioni di lutto patologico sembrano essere convinte che questo momento nella loro vita non avrà mai fine. Inoltre, è opportuno precisare che, spesso, coloro i quali sviluppano un lutto patologico hanno subito delle perdite traumatiche, o improvvise, o sono in un certo senso coinvolte, sia nel loro immaginario che nella realtà, con la scomparsa della persona cara. Ne consegue che è assolutamente necessario che si intervenga, mediante delle terapie mirate ed effettuate da specialisti competenti, in quanto spesso i vissuti depressivi possono portare a tentavi di suicidio ed alla pianificazione dello stesso.
La storia clinica di un individuo può essere un buon indicatore circa la possibile evoluzione del lutto da “normale” e “patologico” in quanto, disturbi come la depressione, possono manifestarsi nuovamente a seguito di esperienze emotive molto forti e stressanti come il lutto, portando ad una riesarcebazione della sintomatologia depressiva caratterizzata da umore depresso, irrequietezza o letargia, affaticamento, abulia, insonnia o ipersonnia, perdita o aumento di peso e conseguente perdita o aumento di appetito e pensieri circa il suicidio sopraccitato.
Intraprendere una terapia del lutto risulta molto importante, proprio perché può evitare la comparsa di manifestazioni di dolore così estreme come il suicidio. La terapia può, inoltre, facilitare l’espressione di sentimenti che, in precedenza, risultavano impossibili da tollerare e da rivelare, come la collera, la rabbia, la delusione, il senso di colpa, e può incoraggiare il soggetto a parlare della perdita subita e dei sentimenti correlati ad essa, rassicurando il paziente dell’assoluta liceità di tali sentimenti. Ovviamente, affinché tale relazione terapeutica riesca a fornire gli effetti sperati è necessario che, tra terapeuta e paziente, si instauri una relazione significativa, di fiducia, mediante la quale il soggetto possa sentirsi libero di parlare e di esperire la sicurezza.
La terapia del lutto può anche non essere individuale, quindi terapeuta-paziente, ma può anche svolgersi in gruppo, in modo da aiutare il paziente a non sentirsi isolato, bensì spingendolo a condividere con altre persone un vissuto di sofferenza comune, a riprendere i contatti con la realtà e con gli altri, ovviando il senso di solitudine di chiusura verso il mondo esterno. Infine, un ruolo molto importante è affidato anche ad amici e parenti che circondano la persona che vive il lutto: questi ultimi, però, non sempre riescono a fornire il giusto aiuto a chi soffre a causa della difficile condizione da sostenere. Tuttavia, la loro funzione permane indispensabile, così come qualsiasi tipo di sostegno essi riescano ad offrire: anche il silenzio e la semplice compagnia possono alleviare la sofferenza e ridurre la solitudine, seppur in maniera minimale.
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