Napoli subì 43 mesi di guerra con centocinque bombardamenti aerei, pianse 30mila morti, contò centomila vani di abitazione distrutti, soffrì disagi infiniti, mangiò pane e cipolla.
L’alto numero delle vittime derivava dal fatto che una parte dei bombardamenti era avvenuta di sorpresa, senza che la popolazione fosse messa in allarme ed avesse avuto il tempo di correre nei rifugi.
Dopo il 25 luglio del 1943, in seguito alla caduta del regime
mussoliniano e dei suoi miti, la gente di Napoli si trova stretta fra l’aggressione anglo-americana (che porta in agosto ad una devastazione del centrostorico, colpito ripetutamente dai bombardamenti) e la diffidenza degli ex alleati tedeschi, trasformatasi in palese ostilità ed in evidenti propositi di vendetta dopo l’8 settembre.
L’armistizio piombò su di una Napoli in rovine, semiparalizzata, con l’acqua razionata, i viveri ridotti al minimo, insufficienti per tutta la popolazione, in parte affamata e disoccupata, che trascorreva il maggior tempo nelle grotte e nei rifugi.
Infine, vide i suoi uomini, i padri, i figli, i nipoti, correre nelle strade per sfuggire alle autoblindo, sparati, uccisi, rastrellati per deportarli altrove.
I nazisti ed i loro alleati fascisti riuscirono ad internare 18mila uomini e poco alla volta stavano sgomberando tutta la fascia costiera, oltre alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto.
I napoletani si stancarono, poi cominciarono a combattere.
Alcuni si organizzarono, come il Fronte Unico Rivoluzionario del quartiere Vomero.
R. Battaglia nella sua ormai classica “Storia della Resistenza” ne sottolineò il carattere di rivolta popolare “in cui all’odio contro i tedeschi si unisce la ribellione del popolo meridionale contro le sofferenze secolari da esso sopportate“. In ogni caso la rivolta partenopea non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di stragi, eccidi, veri e propri momenti insurrezionali in provincia di Napoli e nell’area di terra di Lavoro.
A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partire per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, ancorata nel porto, era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l’Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, quindi nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti. L’esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero.
Napoli, sventrata dai bombardamenti, s’era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne.
Come tutte le altre città, arrivati all’8 settembre, giorno dell’armistizio, le autorità militari non presero alcun’iniziativa per preparare un’efficace resistenza alle truppe tedesche e si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani come richiesto dai rappresentanti dei partiti antifascisti per organizzare la difesa.
Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano:
“Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare“.
Di fronte alla vigliaccheria ed al tradimento delle gerarchie militari, di fatto trasformatesi in complici dei nazisti e dei fascisti riorganizzati dal federale Tilena, la gente di Napoli sa, però, resistere con fermezza e coraggio a chi vorrebbe fare dei napoletani dei collaborazionisti e delle spie, operando un vero e proprio «ricatto della fame» e da subirne le orribili conseguenze, di fronte alla spietata rappresaglia delle truppe di occupazione.
Quello di Napoli è un caso più unico che raro di una insurrezione di popolo scoppiata e condotta senza uno studio preliminare, un piano militare, senza una preparazione organizzata ed è la prova di quanto sia difficile per un nemico, che pur dispone di grandi mezzi, aver ragione di una città di oltre un milione di abitanti in rivolta.
Gli antifascisti, ridotti alla clandestinità prima dal regime imperante e poi dall’occupazione germanica, fanno di tutto per sollevare i napoletani contro quelle barbarie, ma è innegabile che il loro contributo non sarebbe sufficiente ad organizzare una insurrezione, se non emergesse nella popolazione una diffusa esigenza di reagire, anche a costo di tremendi sacrifici, per cacciare gli occupanti e salvare la città da ulteriori devastazioni e atrocità.
Si vedono allora dietro le barricate vecchi intellettuali e <<scugnizzi» dei vicoli, militari sbandati e braccati e studenti universitari imbevuti di ideali patriottici, disoccupati e lavoratori.
Disobbedienza civile, boicottaggio e non-collaborazione nella resistenza dei napoletani all’occupazione nazista.
Che la lotta di liberazione della città dagli uomini del Fuhrer è legata all’opposizione più generale alla guerra ed ai miti del fascismo, si può capire dall’episodio che apre il mese di settembre del 1943. I “goliardi” (studenti liceali ed universitari) hanno organizzato una grande manifestazione per la pace in Piazza Plebiscito, raccogliendo l’adesione di molti lavoratori e di altre persone stanche della guerra e di militari inetti e doppiogiochisti.
Il 29 agosto a Portici, 1.000 dimostranti avevano già protestato contro la guerra, ma il 1° settembre la dimostrazione pacifista è duramente repressa dai generali italiani e dai loro padroni nazisti. La grande piazza e tutto il centro di Napoli, sono presidiati da soldati e poliziotti in armi, e contro gli studenti sferragliano, minacciosi, venti carri armati tedeschi.
Il due settembre agli arrestati di Napoli (undici «goliardi» ed un tipografo) si aggiungono i cinque feriti ed i dieci fermati diCastellamare di Stabia, dove i mille operai che invocavano pane e lavoro sono dispersi a colpi di bombe a mano.
Gli avvenimenti successivi sono una continua manifestazione di disobbedienza civile: Napoli non accetta proclami e «diktat» e si ribella ai suoi oppressori!
Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcata a Salerno l’8 settembre, erano riusciti, si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s’erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell’Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere.
Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non dovesse più temere una minaccia immediata su Napoli.
Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l’ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta “in cenere e fango“. Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L’ordine era di annientare gli ultimi capisaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.
Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, i nazisti penetrarono nelle case e cominciarono l’opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all’incendio delle loro abitazioni.
Anche l’Università fu invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L’obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che l’Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell’antifascismo.
Mentre l’opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzurche resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che fu sopraffatta dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell’Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all’ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell’Ammiragliato.
Il giorno 12 si sparse la voce di un brutale assassinio: «’E Tedesche hanno acciso ‘nu marenaro!».
La tragedia si compì al Corso Umberto, stipato di persone obbligate ad assistere alla fucilazione di un marinaio.
Nessuno seppe spiegare i motivi di quella tragedia, né chi fosse stato il giovane ricciuto abbattuto sulle scale dell’Università.
Un testimone oculare, Luigi De Rosa, oggi scomparso, raccontò che l’ucciso con ogni probabilità tornava dalla licenza. Sicuramente era campano, avendo urlato prima di morire: «Oj ma’, nun aggio fatto niente!».
Ignoto è restato il suo nome per molto tempo, ma oggi quel marinaio ha forse un nome e cognome. Si chiamavaAndrea Manzi ed era originario di una frazione di Ravello sulla costiera amalfitana. Aveva 24 anni. I parenti ancora vivi lo rivendicano.
di Carlo Fedele
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