Addio fondo patrimoniale: tutela della casa familiare cancellata
Articolo di Avv. Carlo Vitaliano pubblicato il 30/6/2015 (1382 Letture)
Le banche potranno aggredire il fondo patrimoniale del correntista-debitore senza bisogno di procedere con una azione revocatoria davanti al giudice in tribunale: stesso discorso per la donazione dell’immobile o la costituzione di ipoteche.
Addio fondo patrimoniale (o quasi): quello che, per anni, è stato lo strumento più usato dagli italiani per tutelare la casa dai rischi del futuro o dai debiti del lavoro – uno strumento tanto facile da costituire quanto economico, e peraltro assai efficace – diventa oggi un contenitore vuoto, privo di gran parte della sua utilità. E questo a causa non solo delle ultime pronunce dei tribunali (leggi “Pignorabile la casa nel fondo patrimoniale per debiti di lavoro”), ma anche e soprattutto per via del nuovo decreto legge [1] di riforma della giustizia, appena approvato dal Governo Renzi: un decreto che mira, in gran parte, a sostenere le ragioni delle banche nel recupero dei crediti nei confronti dei debitori morosi.
In buona sostanza, con la nuova legge, il creditore che si senta pregiudicato, nelle proprie ragioni, da un atto di cessione dei beni del debitore (quindi anche la donazione o la costituzione di un fondo patrimoniale o di un trust) potrà far prevalere il proprio pignoramento senza bisogno di ottenere una sentenza del giudice che revochi l’atto stesso (cosiddetta revocatoria).
Ma procediamo con ordine per capire meglio cosa è successo sotto gli occhi di tutti, senza che, però, si potesse inzialmente percepire l’effettiva portata della nuova norma.
La revocatoria
Fino a ieri, chiunque vendeva un bene, lo donava, costituiva un trust o un fondo patrimoniale, entro i cinque anni successivi all’atto stesso era soggetto alla cosiddetta azione revocatoria: in pratica, il creditore, azionando un’apposita causa in tribunale, poteva rendere inefficace l’atto stesso, ma a condizione che dimostrasse al giudice l’intento fraudolento del debitore (e la consapevolezza del terzo acquirente). In buona sostanza, solo all’esito di un giudizio, peraltro piuttosto articolato, volto a verificare lo scopo malizioso del debitore, l’atto di cessione poteva dirsi “revocato” e, quindi, inefficace.
Oggi non è più così. O meglio, il compito del creditore viene enormemente agevolato.
Con la riforma, infatti, la banca o qualsiasi altro creditore non dovrà più agire con l’azione revocatoria, ma il suo pignoramento sulla casa (cosiddetto pignoramento immobiliare) potrà andare avanti anche se quest’ultima è stata inserita nel fondo patrimoniale, e senza esserci più bisogno di intraprendere l’azione revocatoria. La riforma, infatti, stabilisce che, tutte le volte in cui il debitore abbia ceduto un proprio bene (con donazione) o lo abbia inserito in un fondo patrimoniale o in un trust, e lo abbia fatto successivamente alla nascita del credito, il creditore può ugualmente procedere ad esecuzione forzata, e quindi mettere all’asta la casa stessa, anche senza aver ottenuto una sentenza di inefficacia (appunto la cosiddetta revocatoria).
L’unica condizione affinché tale potere del creditore possa manifestarsi è che quest’ultimo trascriva il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto di donazione, vendita, fondo patrimoniale o trust.
Facciamo un esempio. Ipotizziamo che Tizio, il 1° febbraio 2016, inserisca la casa nel fondo patrimoniale trascrivendolo nell’atto di matrimonio (come la legge impone). Il 1° giugno, poi, contrae un mutuo e, dopo breve, si rende moroso. La banca potrà agire direttamente in esecuzione forzata, entro il 31 gennaio 2017, previa notifica dell’atto di precetto, senza bisogno di un’azione volta a revocare il fondo patrimoniale (peraltro, poiché il mutuo redatto con atto pubblico è già titolo esecutivo, non c’è neanche bisogno del decreto ingiuntivo).
In pratica, la nuova legge opera una automatica presunzione di colpevolezza a carico del debitore: presume, cioè, che questi, nell’anno anteriore ai pignoramenti, sia sempre in malafede e agisca sempre allo scopo di frodare il creditore. A prescindere dalla verità.
Che può fare il debitore per difendersi? Qui sta l’ulteriore inghippo della nuova legge che, non contenta, ha voluto pregiudicare la posizione dei morosi anche sul piano processuale. Al debitore toccherà opporsi al pignoramento immobiliare, (con la cosiddetta opposizione all’esecuzione), con tre forti effetti sfavorevoli e disincentivanti:
– innanzitutto dovrà anticipare le spese processuali;
– in secondo luogo, subirà l’inversione dell’onere della prova a suo sfavore: se, infatti, con la revocatoria, era il creditore a dover dimostrare l’intento fraudolento del debitore, oggi è quest’ultimo a doversi difendere e a dimostrare – chissà come – che il fondo patrimoniale, la donazione o la vendita non sono stati posti in essere al solo scopo di frodare la banca;
– col rischio che, nelle more di tale giudizio di opposizione, la casa venga venduta all’asta o, quantomeno, il giudice imponga al debitore di lasciare l’immobile e trovare un’altra abitazione.
Addio fondo patrimoniale (o quasi): quello che, per anni, è stato lo strumento più usato dagli italiani per tutelare la casa dai rischi del futuro o dai debiti del lavoro – uno strumento tanto facile da costituire quanto economico, e peraltro assai efficace – diventa oggi un contenitore vuoto, privo di gran parte della sua utilità. E questo a causa non solo delle ultime pronunce dei tribunali (leggi “Pignorabile la casa nel fondo patrimoniale per debiti di lavoro”), ma anche e soprattutto per via del nuovo decreto legge [1] di riforma della giustizia, appena approvato dal Governo Renzi: un decreto che mira, in gran parte, a sostenere le ragioni delle banche nel recupero dei crediti nei confronti dei debitori morosi.
In buona sostanza, con la nuova legge, il creditore che si senta pregiudicato, nelle proprie ragioni, da un atto di cessione dei beni del debitore (quindi anche la donazione o la costituzione di un fondo patrimoniale o di un trust) potrà far prevalere il proprio pignoramento senza bisogno di ottenere una sentenza del giudice che revochi l’atto stesso (cosiddetta revocatoria).
Ma procediamo con ordine per capire meglio cosa è successo sotto gli occhi di tutti, senza che, però, si potesse inzialmente percepire l’effettiva portata della nuova norma.
La revocatoria
Fino a ieri, chiunque vendeva un bene, lo donava, costituiva un trust o un fondo patrimoniale, entro i cinque anni successivi all’atto stesso era soggetto alla cosiddetta azione revocatoria: in pratica, il creditore, azionando un’apposita causa in tribunale, poteva rendere inefficace l’atto stesso, ma a condizione che dimostrasse al giudice l’intento fraudolento del debitore (e la consapevolezza del terzo acquirente). In buona sostanza, solo all’esito di un giudizio, peraltro piuttosto articolato, volto a verificare lo scopo malizioso del debitore, l’atto di cessione poteva dirsi “revocato” e, quindi, inefficace.
Oggi non è più così. O meglio, il compito del creditore viene enormemente agevolato.
Con la riforma, infatti, la banca o qualsiasi altro creditore non dovrà più agire con l’azione revocatoria, ma il suo pignoramento sulla casa (cosiddetto pignoramento immobiliare) potrà andare avanti anche se quest’ultima è stata inserita nel fondo patrimoniale, e senza esserci più bisogno di intraprendere l’azione revocatoria. La riforma, infatti, stabilisce che, tutte le volte in cui il debitore abbia ceduto un proprio bene (con donazione) o lo abbia inserito in un fondo patrimoniale o in un trust, e lo abbia fatto successivamente alla nascita del credito, il creditore può ugualmente procedere ad esecuzione forzata, e quindi mettere all’asta la casa stessa, anche senza aver ottenuto una sentenza di inefficacia (appunto la cosiddetta revocatoria).
L’unica condizione affinché tale potere del creditore possa manifestarsi è che quest’ultimo trascriva il pignoramento entro un anno dalla data di trascrizione dell’atto di donazione, vendita, fondo patrimoniale o trust.
Facciamo un esempio. Ipotizziamo che Tizio, il 1° febbraio 2016, inserisca la casa nel fondo patrimoniale trascrivendolo nell’atto di matrimonio (come la legge impone). Il 1° giugno, poi, contrae un mutuo e, dopo breve, si rende moroso. La banca potrà agire direttamente in esecuzione forzata, entro il 31 gennaio 2017, previa notifica dell’atto di precetto, senza bisogno di un’azione volta a revocare il fondo patrimoniale (peraltro, poiché il mutuo redatto con atto pubblico è già titolo esecutivo, non c’è neanche bisogno del decreto ingiuntivo).
In pratica, la nuova legge opera una automatica presunzione di colpevolezza a carico del debitore: presume, cioè, che questi, nell’anno anteriore ai pignoramenti, sia sempre in malafede e agisca sempre allo scopo di frodare il creditore. A prescindere dalla verità.
Che può fare il debitore per difendersi? Qui sta l’ulteriore inghippo della nuova legge che, non contenta, ha voluto pregiudicare la posizione dei morosi anche sul piano processuale. Al debitore toccherà opporsi al pignoramento immobiliare, (con la cosiddetta opposizione all’esecuzione), con tre forti effetti sfavorevoli e disincentivanti:
– innanzitutto dovrà anticipare le spese processuali;
– in secondo luogo, subirà l’inversione dell’onere della prova a suo sfavore: se, infatti, con la revocatoria, era il creditore a dover dimostrare l’intento fraudolento del debitore, oggi è quest’ultimo a doversi difendere e a dimostrare – chissà come – che il fondo patrimoniale, la donazione o la vendita non sono stati posti in essere al solo scopo di frodare la banca;
– col rischio che, nelle more di tale giudizio di opposizione, la casa venga venduta all’asta o, quantomeno, il giudice imponga al debitore di lasciare l’immobile e trovare un’altra abitazione.
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