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Rubriche > RUBRICA MEDICA > La richiesta d'aiuto - Bambino attivo e protagonista del suo sviluppo
La richiesta d'aiuto - Bambino attivo e protagonista del suo sviluppo
Articolo di Dott. Michele Sannino pubblicato il 3/1/2009 (1936 Letture)
1. Attaccamento - Dalle attuali ricerche condotte in ambito psicosociale, emerge l’immagine di un bambino attivo e protagonista del suo sviluppo. Il bambino fin dalla nascita è capace di instaurare relazioni (seppur asimmetriche, rispetto all’adulto caregiver). Fin dalla nascita il bambino svolge un ruolo attivo nel definire la sua relazione con il caregiver: è coinvolto in uno scambio interattivo e si dimostra capace di autoregolare i suoi comportamenti attraverso meccanismi di feedback con coloro che interagiscono con lui. I neonati sono dotati di requisiti percettivi e di strutture temporali (ritmi nell’alimentazione, ritmo sonno-veglia) deputati a consentire loro il contatto con l’adulto di riferimento.


 Gli studi di Bowlby e dei suoi collaboratori hanno evidenziato come il legame iniziale che ogni bambino instaura con la propria madre dipenda da un bisogno innato di entrare in contatto con gli appartenenti alla propria specie, il comportamento di attaccamento è quel comportamento che il bambino manifesta verso un adulto di riferimento, che ritiene in grado di affrontare il mondo in modo adeguato. Questo comportamento diviene evidente ogni volta che il bambino è spaventato, stanco, malato, e si attenua quando riceve conforto e cure. Bambino2



Bambino3Se l’obiettivo esterno del sistema di attaccamento è quello di garantire la vicinanza con il caregiver, quello interno è di motivare il bambino alla ricerca di una sicurezza interna.

Il compito biologico e psicosociale dell’adulto caregiver è quello di essere una base sicura per il bambino, da cui il bambino si possa affacciare verso il mondo esterno e a cui possa ritornare sapendo che sarà accolto, nutrito, rassicurato, confortato. Quindi il ruolo del caregiver è quello di essere disponibile e responsivo quando chiamato in causa, intervenendo solo quando è necessario.



2. Attaccamento e sicurezza interiore



“L’attaccamento originario svolge la funzione di prototipo della sicurezza interiore per l’intera vita della persona, di un bisogno che persiste nel tempo di una base sicura dalla quale la persona parte per vivere con fiducia la vita in modo autonomo”.

La bidirezionalità di questo primo scambio consente al bambino lo sviluppo di un senso di sicurezza e di fiducia in sé, nonché un rafforzamento della relazione tra lui e l’adulto.

Se l’adulto sarà responsivo e competente, il bambino si sentirà parte della famiglia, anche nei momenti più critici del suo ciclo di vita. Si instaura così un circolo virtuoso in cui il bambino accrescerà la sua autostima e la capacità di gestione delle situazioni in cui dovrà confrontarsi.

Se qualcosa non funziona in questo primo prezioso scambio relazionale, il bambino potrà mettere in atto comportamenti che possono aiutarlo a difendersi, anche se in modo disfunzionale per la sua crescita e il suo benessere futuro. L’indisponibilità dell’adulto di riferimento, da cui il bambino dipende per la sua protezione e sopravvivenza, creerà nel bambino una vulnerabilità verso la paura della perdita dell’altro.

Questo primo scambio relazionale e la conseguente sicurezza (o insicurezza) interiore che il bambino sviluppa sono connessi alla futura capacità di autorealizzazione. La capacità di affrontare gli eventi in momenti critici o di cambiamento, dipenderà proprio dal senso di sé che si è potuto sviluppare in questa fase della vita. Il senso di sé e l’autostima si forma e si costruisce in fBambina1unzione di tale relazione primaria.

Inoltre il legame che il bambino sperimenta in questa relazione con il caregiver, modellerà i successivi legami, poiché l’individuo, nel momento del contatto con l’altro, porta con sé tutto il bagaglio delle esperienze precedenti.

L’immagine di sé che sviluppa un individuo che ha avuto un attaccamento sicuro è di essere una persona amabile, degna di essere amata, con buona autostima, che ha fiducia negli altri (ma non in modo indiscriminato). Sarà un individuo amabile con le persone amichevoli, difeso con chi percepisce come ostile, si prenderà cura di se e delle persone che ama, non si affiderà alle persone che non conosce, sarà selettivo nei comportamenti empatici e nel rivelare se stesso, saprà appoggiarsi agli altri.

La sicurezza interiore e il senso di autostima richiedono  la capacità di integrare due bisogni: il bisogno di autorealizzazione (essere se stessi) e il bisogno di appartenere. Il modo in cui l’individuo coniugherà questi bisogni

dipenderà anche dalle relazioni primarie chBambino1e ha vissuto.

L’essere autonomo nella relazione, il divenire in grado di allontanarsi dalla famiglia sono strettamente connessi al senso di fiducia in sè, e ciò è più facile se si ha avuto una madre responsiva e non invasiva o invischiante.

Da una buona esperienza di appartenenza si sviluppa una funzionale capacità di autonomia.



3. Stili di attaccamento e introiezioni



Ainsworth (1969), Lorenzini e Sassaroli (1995) individuano quattro stili di attaccamento: sicuro, insicuro evitante, insicuro ambivalente, insicuro disorganizzato.

Nell’attaccamento sicuro, la sicurezza dell’accessibilità materna rende il bambino tranquillo nello spingersi ad esplorare le novità. Le persone con attaccamento sicuro sono ragionevolmente sicure delle proprie capacità di risolvere i problemi e per questo tendono a testare le proprie ipotesi per eliminare quelle errate. Lo stile è quindi quello della ricerca attiva: la persona cerca di ottenere nuove informazioni e quindi di sottoporre costantemente alla prova le proprie ipotesi. L’atteggiamento è tipicamente esplorativo. Si può ipotizzare che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “sono una persona capace e attiva, l’ambiente è accogliente”.

I bambini con attaccamento insicuro-evitante hanno sperimentato più volte la difficoltà ad accedere alla figura di attaccamento e hanno imparato progressivamente a farne a meno, concentrandosi sul mondo inanimato piuttosto che sulle persone. Le persone con questo tipo di attaccamento si comportano come se gli altri non esistessero. Sul piano cognitivo instaurano una sorta di autarchia per cui non tengono conto delle invalidazioni fornite dagli altri. Lo stile cognitivo è quello dell’immunizzazione: minimizzano, fino ad annullarli, gli effetti dell’invalidazione. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “devo essere autosufficiente, l’ambiente è inaccessibile”.

I bambini con attaccamento insicuro-ambivalente, avendo sperimentato l’imprevedibilità della figura di attaccamento, tentano di mantenere con lei una vicinanza strettissima, rinunciando a qualsiasi movimento esplorativo autonomo. A livello cognitivo, per evitare l’imprevedibilità, si muovono soltanto nel conosciuto, da cui sia bandita ogni novità. Lo stile cognitivo corrispondente è quello dell’evitamento: queste persone tentano di evitare le invalidazioni, non mettendo alla prova le proprie ipotesi. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “devo farmi accettare dall’ambiente”.

L’attaccamento disorganizzato-disorientato si realizza quando la figura di attaccamento è sperimentata come minacciosa. Il caregiver è spaventato/spaventante. Il bambino è portato a leggere sul volto della figura di attaccamento se nell’ambiente esistano pericoli oppure no; nel caso della madre spaventata/spaventante egli riceve costantemente un messaggio di pericolo, e poiché non trova nell’ambiente alcun motivo che lo confermi, la madre diventa fonte di minaccia. Lo stile cognitivo è quello dell’ostilità: un modo di reagire alle invalidazioni consistente nel riproporre una costruzione della realtà che si è gia rivelata fallimentare, l’altro è da ignorare o sopraffare. Ipotizziamo che questo tipo di attaccamento generi un introietto nel bambino: “l’ambiente è minaccioso”.



4. Modelli Operativi Interni e livello cognitivo-verbale



La teoria dell’attaccamento sostiene che il bambino costruisce delle rappresentazioni di sé e della figura di attaccamento chiamate Modelli Operativi Interni (MOI). I MOI contengono la rappresentazione di sé e del caregiver nelle relazioni di attaccamento, organizzano pensieri e ricordi e guidano i comportamenti futuri di attaccamento.

Le esperienze di attaccamento nell’infanzia influenzano lo stile di personalità e di relazione nell’età adulta, regolano l’adattamento all’ambiente e alle persone.

I MOI filtrano l’informazione in entrata, l’elaborazione delle informazioni in uscita, innescando processi di attenzione selettiva, percezione selettiva, memoria selettiva, questo in modo inconsapevole per l’individuo.

Questo avviene per un bisogno di coerenza da parte dell’individuo, che seleziona le informazioni congruenti con le proprie aspettative. Inoltre questo è un sistema per evitare e escludere in modo difensivo le informazioni che potrebbero far riattivare il sistema di attaccamento. L’individuo vuole evitare il dolore, mentre potrebbe essere molto doloroso l’affrontare la propria paura e il proprio bisogno di essere confortato e il non ricevere conforto e sostegno dalla propria figura di attaccamento, come è accaduto nell’infanzia.

La sicurezza dell’attaccamento, che favorisce la sicurezza interiore e il senso di sé, è caratterizzata dalla capacità d chiedere conforto, oppure dalla capacità di esprimere il piacere di non essere in una situazione di pericolo. Gi individui con un attaccamento insicuro elaborano le informazioni in modo pregiudiziale, escludono dall’elaborazione le informazioni che potrebbero far attivare il sistema di attaccamento, poiché si aspettano, in base alle loro prime esperienze, di non poter essere confortati.



Possiamo collocare i MOI nel livello cognitivo-verbale, il livello che ci connette con il mondo attraverso la cognizione, ovvero il nostro modo di pensare, le nostre idee, il nostro linguaggio, la nostra cultura.

“La nostra capacità di “riflettere” di volgerci indietro verso la nostra storia personale, crea il concetto che abbiamo di noi stessi, rinsalda la nostra identità e i ruoli che ci siamo assunti. (…). Il livello cognitivo-verbale rappresenta il livello dell’esperienza con il quale il bambino, per creare una teoria del sé e del mondo, lavora in modo attivo attraverso le proprie introiezioni, inizia a verificarle, ne sperimenta la validità o meno con l’azione”.



5. Gestalt incompiute e ground



L’esperienza di attaccamento, di appartenenza, è parte significativa del ground dell’individuo e costituisce lo sfondo, che può essere uno sfondo che sostiene oppure essere instabile.

L’esperienza di attaccamento insicuro che un bambino vive, può rimamene nella sua vita come una situazione incompiuta. La storia di una persona e le sue situazioni incompiute fanno parte del suo ground, del suo sfondo, ma possono emergere in figura, in alcuni momenti di vita, se il bisogno legato ad esse diventa pressante. L’esperienza di un attaccamento insicuro è un fattore di rischio per la costruzione di un solido ground della personalità, poiché i bisogni primari insoddisfatti, vengono relegati nello sfondo, creando una trappola, poiché i bisogni non riconosciuti e non soddisfatti rappresentano delle zone d’ombra che bloccano e limitano il proprio potere personale.



6. Adattamento creativo e modalità di resistenza al contatto



“Nella ricerca di un adattamento creativo all’altro, o a un ambiente non sempre favorevole, l’individuo trova modalità di contatto e di relazione con le proprie figure di attaccamento sia soddisfacenti che insoddisfacenti (…). Soddisfacenti allorquando l’individuo le realizza in modo flessibile, mediando in modo costruttivo fra i propri e altrui bisogni (…). Le modalità possono prendere una forma rigida, a volte cronicizzata, per essere più rispondenti al contesto”.

Il bambino ha bisogno di essere approvato dagli adulti di riferimento, e sviluppare un senso di appartenenza, così metterà in atto comportamenti che gli permettono di adattarsi all’ambiente.

Quando il caregiver non è responsivo, non è disponibile, è incostante, i comportamenti di attaccamento (pianto, richiamo…) del bambino falliscono costantemente, il bambino è costretto a sviluppare strategie difensive che escludano queste dolorose informazioni dalla consapevolezza.

Dobbiamo ritenere normale la variabilità delle modalità di resistenza al contatto dell’individuo, ma la sua rigidità, che si esprime in un impoverimento del funzionamento cognitivo, affettivo, interpersonale e del controllo degli impulsi, è patologica. Le modalità di resistenza al contatto, sono state attivate utilmente e in maniera funzionale in epoche evolutive precedenti, quando il soggetto, vuoi per l'età e per lo sviluppo, vuoi per la pressione rappresentata dalla carenza e/o dal trauma, non aveva altre risorse a cui attingere.

Più queste modalità di resistenza al contatto saranno rigide, inappropriate all’età e alla situazione, tanto più procureranno ulteriore disagio soggettivo ed interpersonale. Sostanzialmente, la rigidità fa fallire lo scopo originario di tipo funzionale, per cui erano state attivate nel passato: se ad esempio è protettivo per un bambino piccolo stare vicino al caregiver, è meno praticabile per lui, diventato adulto, non poter recarsi al lavoro, se non accompagnato dalla propria madre! Dunque, una condotta adattiva e funzionale (la dipendenza) può divenire disfunzionale in un’altra circostanza. In questo esempio “la modalità di resistenza al contatto è una modalità con cui l’individuo interrompe la naturale tendenza a incidere e esplorare l’ambiente, per salvaguardare il suo senso di attaccamento e di dipendenza nella relazione”.

Le modalità di resistenza al contatto sono:

Introiezione: è emerso un bisogno, con cui l’individuo non può identificarsi (perché immaturo, o riprovevole), né allontanarlo, egli assume come propri bisogni e desideri dell’ambiente, rinunciando alle capacità personali. L’individuo impiega la propria energia per minimizzare le differenze dall’altro.

Proiezione: è emerso il bisogno, l’individuo si dirige verso l’ambiente carico di eccitazione, ma non si sente in grado di sostenerla. L’emozione non è riconosciuta dall’individuo come propria e la sposta sull’ambiente e attribuisce all’altro ciò che egli sente. L’individuo impiega la propria energia per mantenere al di fuori di sé ciò che è minaccioso per la propria autostima.

Retroflessione: l’individuo si blocca nel suo agire per paura di un contatto distruttivo o conflittuale e ritorce verso sé e il proprio corpo l’energia. Ha la convinzione di essere poco interessante per l’altro e non reclama nulla per sé.

Confluenza: stato di non differenziazione, caratterizzato dall’assenza della percezione del confine, dalla mancanza di contatto e consapevolezza. Tutto rimane nello sfondo, poiché non c’è differenziazione tra l’individuo e l’ambiente,  necessaria per l’emergere di una figura dallo sfondo. L’individuo non riconosce la novità o l’eccitazione, sta con il conosciuto.

Deflessione: distoglie dal contatto diretto, toglie calore al contatto. L’individuo impiega la propria energia per evitare o smorzare il calore del contatto.



7. Attaccamento e Psicopatologia nell’infanzia



I bambini con attaccamento sicuro risolvono i problemi evolutivi in modo adattivo. Al contrario, quelli con attaccamento insicuro mostrano difficoltà nella tarda infanzia, che includono eccessiva dipendenza, competenza sociale limitata e una minor forza dell’io.

Alcuni studi suggeriscono che l’attaccamento insicuro sia un fattore di rischio per lo sviluppo di una psicopatologia nell’infanzia. Pur suggerendo che la psicopatologia possa instaurarsi attraverso percorsi multipli, mostrano l’esistenza di un’associazione tra attaccamento insicuro infantile e vulnerabilità a sintomi psichiatrici in epoche successive della vita, quando le prime esperienze di vita e le rappresentazioni dell’esperienza di attaccamento influenzano l’autostima, l’autoregolazione delle emozioni e del comportamento e la qualità delle relazioni.

In linea di massima, si può affermare che un attaccamento sicuro predispone alla salute mentale ed alla presenza di relazioni stabili e gratificanti, ciò è dovuto alla fondamentale funzione di rendere l’individuo capace di “appoggiarsi al Sé per evocare l’Altro in un periodo di assenza, per colmare il vuoto prima della riunione o prima che l’attaccamento si ristabilisca”.

Uno stile di attaccamento insicuro tende ad interferire con lo sviluppo nell’ordine in cui costituisce un fattore di vulnerabilità generale, che può sfociare in varie costellazioni psicopatologiche, anche se ci sono altri fattori significativi: temperamento del bambino, capacità di resilienza, supporto socio-ambientale, le altre e successive relazioni di attaccamento significative familiari ed extrafamiliari.

In particolare, è stato rilevato un legame tra l'attaccamento evitante e i disturbi della condotta, mentre l'attaccamento ambivalente è risultato associato all'evitamento sociale nei bambini piccoli e alla solitudine. L'attaccamento insicuro è un fattore di rischio rispetto all'emergere di difficoltà emotive e di problemi del comportamento nei bambini che sono vittime di maltrattamenti o di abuso, e in quelli che hanno genitori che presentano psicopatologie o fanno uso di sostanze.

Anche l'attaccamento disorganizzato-disorientato si è rivelato un fattore di rischio per successivi comportamenti disorganizzati e problematici nell'infanzia.

Per quanto riguarda la regolazione degli affetti, nell'infanzia i disturbi sono caratterizzati da ansia, confusione, disorientamento, conflitto e disforia, e sono dovuti alla disgregazione del funzionamento delle relazioni di attaccamento primario del bambino. Questa disgregazione lascia il bambino privo di una strategia che sia in grado di regolare il suo bisogno di sicurezza.

L’eccessiva focalizzazione sul genitore depresso sembra essere il fattore eziologico più importante della depressione infantile. A motivo di questa focalizzazione, il bambino non impara a regolare l'affetto negativo. Inoltre, dal momento che la madre depressa si rivolge al bambino per soddisfare i propri bisogni di attaccamento e per alleviare il proprio stress, questo perpetua da una generazione all'altra gli stili di attaccamento e di difesa.

Molti altri studi hanno rilevato le relazioni che intercorrono tra l'attaccamento evitante e la rabbia repressa per la mancanza di contatto fisico o di tenerezza, per l'invadenza insensibile o il rifiuto di comportamenti di attaccamento da parte del caregiver. La strategia dei bambini con attaccamento evitante consisterebbe in un reprimere l'espressione della rabbia, spostando l'attenzione all'ambiente inanimato e allontanandola così dagli stimoli che potrebbero intensificare il desiderio di cercare conforto nel genitore che rifiuta comportamenti di attaccamento.



8. Attaccamento e Psicopatologia nell’età adulta



Pochi studi hanno studiato direttamente il legami tra tipo di attaccamento e psicopatologia nell'età adulta.

Le ricerche forniscono evidenza che l'attaccamento insicuro è uno dei fattori di rischio di psicopatologia.



8.1 Radici relazionali dei Disturbi di Personalità

I disturbi di personalità sono raggruppati, nel Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali DSM IV, in tre cluster:

- Cluster A – Bizzarro/Eccentrico (Disturbo Paranoie di Personalità. Disturbo Schizoide di Personalità, Disturbo Schizotipico di Personalità).

- Cluster B – Drammatico/Emotivo/Incostante (Disturbo Antisociale di Personalità, Disturbo Borderline di Personalità, Disturbo Istrionico di Personalità, Disturbo Narcisistico di Personalità).

- Cluster C – Ansioso/Pauroso (Disturbo Evitante di Personalità, Disturbo Dipendente di Personalità, Disturbo Ossessivo-Compulsivo di Personalità).



8.1.1 Cluster A: Bizzarro/Eccentrico

I soggetti di questo cluster hanno avuto un attaccamento spesso trascurante da parte del caregiver, la madre appare stranamente incompetente a sintonizzarsi con i bisogni profondi dei figli, e questi, anche se formalmente accuditi, sembrano incapaci di cogliere i propri ed altrui stati psichici, di empatizzare con essi. Il padre può apparire spesso una figura distruttiva, non contenuto dalla moglie. Questi individui, per sfuggire dall'esperienza angosciante di essere soli di fronte alla propria/altrui rabbia, potrebbero ritirarsi in un mondo di pensieri propri, difendendosi dalla frustrazione con una sorta di anestesia psichica e convertano la rabbia in freddezza e disprezzo.

Questi pazienti sembrano dipendere più dalle cose e dalla loro costanza che dalle persone, quasi si difendessero dal più instabile mondo relazionale attraverso la prevedibilità del mondo inanimato (computer, la propria stanza, le proprie abitudini…). Dipendono cioè dalla costanza dell’ambiente e reagiscono con disagio, rabbia o persecutorietà in tutti i casi in cui le loro aspettative o previsioni vengono alterate. Raramente hanno legami affettivi e prediligono la solitudine.

In questo clima di deprivazione affettiva caratterizzata dall'evitamento, il bambino, spesso dotato intellettivamente, è allevato con schemi rigidi (“devi”, “non devi”), da caregiver presi dalle proprie priorità e non responsivi.

Poggiandosi sull’attività di autostimolazione con attività ripetitive/sedative, il bambino impara a difendersi controllando l'ambiente e ritirandosi nei suoi pensieri, nel tentativo di fabbricare un mondo in cui gli eventi dolorosi non esistano o possano essere dimenticati.



8.1.2 Cluster B: Drammatico/Emotivo/Incostante

Questo cluster è caratterizzato dall'uso dell'emotività come modalità di espressione di sé e di influenza delle relazioni interpersonali. E' il raggruppamento del “Non Controllo Emotivo”, manifestato sotto vari aspetti.

Il tema del non controllo rimanda all'epoca in cui il controllo viene proposto nello sviluppo (fase del NO) e fa ipotizzare una manovra inconscia di un bambino di due anni che, arrabbiato, fa scenate e si oppone, un bambino fragile, insicuro, angosciabile. Se appare più lagnoso che combattivo diventerà forse un istrionico, se appare più prepotente, che non vuol sentir ragioni potrebbe diventare antisociale, se viene fatto sentire superiore e speciale potrebbe sviluppare aspetti narcisistici. Se è eccitabile ed angosciabile ad un tempo potrebbe avere un futuro tratto borderline. L'insicurezza sottostante a queste risposte rimanda ad un legame di attaccamento ambivalente.

Acquisire controllo sui propri impulsi è un'operazione che richiede a) uno stato di relativo benessere (se non hai benessere e quiete, ma sei pressato dall'urgenza del bisogno non riesci/non vuoi controllarti e vivi il controllo esterno come violento e ingiusto) b) una persona che ha l'autorità di imporlo ed è interessata a farlo, cosa che raramente hanno avuto le madri di questo cluster sia perché fragili (quindi poco autoritarie), sia perché depresse (quindi non hanno la forza o la voglia di farlo). La persona che insegna controllo deve avere fiducia in se stessa, avere a cuore il bambino, farlo stare bene, rendendolo così collaborante. Ciò per questo cluster non avviene. Su questa base le reazioni del bambino oscillano dal panico, perché si accorge di essere affidato ad una persona che non sa/non vuole occuparsi di lui, a vissuti compensatori di potenza sul saper fare a proprio modo, saper provvedere a se stesso, al saper sostenere e sopportare la figura di riferimento, saper fare a meno di un’adulto di riferimento, saper sedurre una figura sostitutiva con le proprie qualità. L'effetto di eccitamento di queste manovre compensatorie è proporzionale al panico che il soggetto sperimenterebbe se non riuscisse ad attivarle e rappresenta l'euforia di essere riuscito a sfuggire ad un vissuto di vuoto e di privazione grazie alle proprie risorse.

Risorse che purtroppo spesso risultano insufficienti ai compiti eccessivi di auto-allevamento o di supporto dei genitori con cui l’individuo si misura. Tutto ciò dà vita a modelli operativi interni che deflagrano quando i vissuti di autonomia della vita adulta richiedono adattamento come espressione di sicurezza interna e di equilibrata regolazione.



8.1.3 Cluster C: Ansioso/Pauroso

Questo cluster è caratterizzato dal vissuto di preoccupazione dei soggetti e dal dubbio su di sé.

In questo cluster appaiono frequentemente tratti dell'attaccamento ansioso ambivalente o evitante.

Sembra esistere un collegamento tra la dimensione relazionale dell'ipercontrollo e tutto il cluster C. Volendo distinguere, da questo punto di vista, le tre categorie del cluster C, si potrebbe parlare di controllo iperprotettivo per i dipendenti, controllo basato sulla vergogna per gli evitanti, controllo basato sull'eccesso di regole e disciplina per gli ossessivi.

Il cronico sentimento d'inadeguatezza che caratterizza i pazienti di questo cluster può provenire dalla sproporzione tra lo sviluppo e i compiti di inversione dei ruoli che i genitori chiedono ai figli. Le madri spesso si comportano da sorelle dei figli, chiedono loro di riempire le loro solitudini, di sedare le loro ansie, di dar loro soddisfazione con i loro successi necessari a migliorare la loro autostima. I padri appaiono insicuri, insensibili, chiedono ai figli di non dare problemi.

La sproporzione del compito rispetto alle forze possedute da questi individui li rende ansiosi.

L’individuo può reagire all’ansia: 1) il dipendente sperimentando la propria insicurezza, incapace di affermare un

proprio obiettivo, 2) l'evitante rifiutando di farsene carico e nello stesso tempo temendo il giudizio, 3) l'ossessivo cercando in una rigida regola esterna un giusto ancoraggio.



9. Psicoterapia della Gestalt



Le precoci esperienze di attaccamento determinano modelli non acquisiti definitivamente. I modelli di un’esperienza precoce di attaccamento insicuro possono essere riorganizzati.

Questo è ciò che accade nella psicoterapia: nel rapporto con il terapeuta il paziente ha l’occasione di ricevere una risposta alle sue esigenze di attaccamento diversa da quella ricevuta prima dai genitori e poi da eventuali partner affettivi.

Percepire nel paziente una capacità di entrare in relazione, vuoi con noi, vuoi con altri, rimanda ad un attaccamento ambivalente o sicuro. Al contrario la distanza, l’irraggiungibilità, la mancanza di empatia ci parleranno di un attaccamento evitante. Situazioni meno nette, con aspetti di polarizzazione contrastanti, ci fanno ipotizzare un attaccamento disorganizzato.

Nella relazione psicoterapeutica, l’individuo può cambiare le proprie aspettative sull’ambiente e sugli altri, quindi cambiano i suoi MOI. Il terapeuta si pone come base sicura, offre disponibilità emotiva, empatia e sostegno, conforta, aiuta a regolare le emozioni, e questo fa si che il paziente possa dipendere e poi andare verso l’autonomia.

“La cura è un co-costruire lo sfondo dell’esperienza di relazione”.

Il terapeuta proporrà al paziente modalità diverse da quelle che ha appreso nel suo originario ambiente: per il paziente che non è stato visto, accolto, protetto, vivere la relazione terapeutica, reale e significativa, fa nascere la fiducia e riattiva le energie nella direzione dell’autorealizzazione.


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