ARGOMENTO: REATI CONTRO LA PERSONA - Diffamazione col mezzo della stampa
Articolo di Avv. Carlo Vitaliano pubblicato il 10/8/2014 (1842 Letture)
La diffamazione è il delitto previsto e punito dall'articolo 595 del codice penale secondo cui: "Chiunque, fuori dei casi indicati nell'articolo precedente (594 codice penale - ingiuria), comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1032.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate."
In primis è da evidenziare che il bene giuridico tutelato dalla norma è l’onore di un soggetto, il quale sia nel sentimento e nell'idea che ciascuno ha di sé (da un punto di vista soggettivo) e come il rispetto e la stima di cui ciascuno gode presso il gruppo sociale (da un punto di vista oggettivo).
Gli elementi che devono contemporaneamente sussistere perché il delitto si perfezioni sono perciò l'offesa all'onore o al decoro (più precisamente: alla reputazione personale) di un soggetto, la comunicazione con più persone e, infine, l'assenza della persona offesa (altrimenti si avrebbe la configurazione del delitto di ingiuria, previsto dall’articolo 494 codice penale).
Il requisito della “comunicazione con più persone” è stato meglio definito da dottrina e giurisprudenza con un numero minimo di interlocutori equivalente a due. Sempre secondo autorevole dottrina, la comunicazione non deve necessariamente essere immediata e univoca per tutti i soggetti ma può ben essere fatta in tempi diversi. Il reato, in questo caso, si perfeziona quando la comunicazione viene fatta alla seconda persona. Seguitamente è di fondamentale importanza affermare che la giurisprudenza ha equiparato la diffamazione a mezzo stampa con la diffamazione perpetrata via mezzi televisivi e telematici (diffamazione via web). In proposito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6591 dell’8 maggio 2002, ha stabilito che nei casi di diffamazione a mezzo telematico la competenza territoriale va individuata nel foro dove risiede la persona che si sente offesa dalle affermazioni contenute su Internet.
Il delitto è punibile solo a querela della persona offesa. E si capisce: non ha senso dare una tutela pubblica ex officio per un bene (l’onore) di rilevanza così strettamente personale.
La querela deve essere presentata non oltre il termine di novanta giorni da quando il querelante ha avuto della notizia del fatto che costituisce il reato (articolo 124 codice penale), oralmente o per iscritto, al Pubblico Ministero o ad un ufficiale di Polizia Giudiziaria.
In modo da evitare le lungaggini del processo penale, la Cassazione ha stabilito, con una notissima sentenza che la tutela di cui gode chi sente leso il proprio onore può essere esercitata chiedendo direttamente il risarcimento con un’azione davanti al giudice civile, senza necessità di una querela in sede penale.
Delineate le basi giuridiche di quest’istituto, occorre ora verificare quando esistono delle cause di giustificazione per le quali chi diffama un altro lo fa in presenza di determinati requisiti.
Ai sensi dell'articolo 596 del codice penale infatti: "Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:
Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito è, per esso condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore della imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per sé stessi applicabili le disposizioni dell’articolo 594, comma primo, ovvero dell’articolo 595 comma primo".
Inoltre l’articolo 599 codice penale statuisce che “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso” esimendo dalle conseguenze chi ha diffamato una persona perché è stato da essa provocato.
I contrasti maggiori e i problemi più complicati nascono però nella diffamazione a mezzo stampa, prevista dal comma 3 dell’articolo in esame.
In particolare, i diritti di cronaca e critica trovano fondamento nell'articolo 21 della Costituzione, il quale stabilisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Nasce perciò un contrasto tra due disposizioni di legge, ossia il diritto, sussistente in capo a ciascuno, all’onore e il diritto tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. La dottrina e la giurisprudenza hanno quindi delineato ciò che è comunemente indicato con la nozione di “limite del diritto".
La giurisprudenza ha elaborato in dettaglio, nel corso degli anni e dopo molte storiche sentenze, tali limiti del diritto di cronaca (non interessa qui trattare del diritto di critica). Molto sinteticamente, affinché il reato di diffamazione venga scriminato dalla causa di giustificazione che stiamo trattando, occorre:
Ricapitolando quindi, se Tizio scrive qualcosa su Caio e lo pubblica su un quotidiano, qualora sussistano i tre presupposti di cui sopra, egli non sarà punibile e la tutela all’onore di Caio sarà prevaricata dal diritto di cronaca. Il giudice dovrà pertanto dichiarare la non punibilità di chi ha scritto diffamando.
Cosa accade però nel caso in cui vi sia stata inosservanza ed erronea applicazione della legge in un caso di diffamazione a mezzo stampa, da parte del giudice? In primis è necessario puntualizzare che tutti i fatti successivi alla divulgazione di una notizia non hanno rilevanza, dovendosi invece fare esclusivo riferimento ad essa, così come appresa dal giornalista al momento della sua propalazione “….e non già a quanto venga successivamente accertato. Pertanto, l’eventuale discrepanza tra i fatti narrati e quelli effettivamente accaduti non esclude che possa essere invocato l’esercizio del diritto di cronaca, anche sotto il profilo della putatività, quando l’agente, pur avendo assolto a tutti gli oneri connessi all’obbligo di un adeguato controllo delle notizie che intende diffondere, si trovi ad avere una percezione difettosa od erronea della realtà” (si veda in proposito Cassazione penale Sezione V 176303/1987; cfr. Sezione V 212731/1998). “Gli unici contegni valutabili al fine di stabilire la verità, sia pure putativa dei fatti, sotto il profilo della indicazione di fonti informative attendibili e delle verifiche compiute da parte dei convenuti, sono solo quelle anteriori alla pubblicazione e che la veridicità non può essere desunta, ai fini dell’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, da circostanze posteriori alla commessa diffamazione (Cassazione penale Sezione V 22.05.2000, Andreoli, in Cassazione penale 2001). Alla verità, anche putativa, della notizia si aggiungano sia la sua rilevanza sociale, essendo stato divulgato, un fatto di indubbio interesse per l’opinione pubblica; sia la sua correttezza formale. Infatti, ad esempio, non sarà diffamatorio un servizio televisivo che sia caratterizzato da toni, da modalità espositive e di presentazione anche visiva assolutamente continenti che non si sono affatto tradotti in“attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse” (Cassazione penale Sezione V 13.04.2006 Mascolo Guida al Diritto 2006; cfr. Sezione V 21.12.2000, Arcomanno; cfr. Sezione V 4.04.2000, Panigutti in Cassazionepenale 2001,1204).
COME SI FA
Come accennato nella descrizione, la tutela per una diffamazione perpetrata a mezzo stampa può essere esercitata sia in sede penale, incappando però nelle lungaggini di tale sede, sia in quella civile, più spedita ma con meno garanzie istruttorie.
Sul termine per l'esercizio agiscono due fattori: la data dell'offesa, il cui termine è di 6 anni, e la data in cui la persona offesa viene a conoscenza dell'offesa stessa, il cui termine, come accennato sopra, è di tre mesi. La giurisprudenza tende a interpretare questo termine in senso estensivo.
CHI
Per proporre querela in qualità di persona offesa occorre rivolgersi alla Polizia Giudiziaria o direttamente al Pubblico Ministero. Poiché si chiama in causa un organo giudicante, sarà necessaria l'assistenza di un legale preparato in materia.
Se l'offesa consiste nell'attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2065. Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad euro 516. Se l'offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate."
In primis è da evidenziare che il bene giuridico tutelato dalla norma è l’onore di un soggetto, il quale sia nel sentimento e nell'idea che ciascuno ha di sé (da un punto di vista soggettivo) e come il rispetto e la stima di cui ciascuno gode presso il gruppo sociale (da un punto di vista oggettivo).
Gli elementi che devono contemporaneamente sussistere perché il delitto si perfezioni sono perciò l'offesa all'onore o al decoro (più precisamente: alla reputazione personale) di un soggetto, la comunicazione con più persone e, infine, l'assenza della persona offesa (altrimenti si avrebbe la configurazione del delitto di ingiuria, previsto dall’articolo 494 codice penale).
Il requisito della “comunicazione con più persone” è stato meglio definito da dottrina e giurisprudenza con un numero minimo di interlocutori equivalente a due. Sempre secondo autorevole dottrina, la comunicazione non deve necessariamente essere immediata e univoca per tutti i soggetti ma può ben essere fatta in tempi diversi. Il reato, in questo caso, si perfeziona quando la comunicazione viene fatta alla seconda persona. Seguitamente è di fondamentale importanza affermare che la giurisprudenza ha equiparato la diffamazione a mezzo stampa con la diffamazione perpetrata via mezzi televisivi e telematici (diffamazione via web). In proposito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6591 dell’8 maggio 2002, ha stabilito che nei casi di diffamazione a mezzo telematico la competenza territoriale va individuata nel foro dove risiede la persona che si sente offesa dalle affermazioni contenute su Internet.
Il delitto è punibile solo a querela della persona offesa. E si capisce: non ha senso dare una tutela pubblica ex officio per un bene (l’onore) di rilevanza così strettamente personale.
La querela deve essere presentata non oltre il termine di novanta giorni da quando il querelante ha avuto della notizia del fatto che costituisce il reato (articolo 124 codice penale), oralmente o per iscritto, al Pubblico Ministero o ad un ufficiale di Polizia Giudiziaria.
In modo da evitare le lungaggini del processo penale, la Cassazione ha stabilito, con una notissima sentenza che la tutela di cui gode chi sente leso il proprio onore può essere esercitata chiedendo direttamente il risarcimento con un’azione davanti al giudice civile, senza necessità di una querela in sede penale.
Delineate le basi giuridiche di quest’istituto, occorre ora verificare quando esistono delle cause di giustificazione per le quali chi diffama un altro lo fa in presenza di determinati requisiti.
Ai sensi dell'articolo 596 del codice penale infatti: "Il colpevole dei delitti preveduti dai due articoli precedenti non è ammesso a provare, a sua discolpa, la verità o la notorietà del fatto attribuito alla persona offesa. Tuttavia, quando l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la persona offesa e l’offensore possono, d’accordo prima che sia pronunciata sentenza irrevocabile, deferire ad un giurì d’onore il giudizio sulla verità del fatto medesimo. Quando l’offesa consiste nella attribuzione di un fatto determinato, la prova della verità del fatto medesimo è però sempre ammessa nel procedimento penale:
- se la persona offesa è un pubblico ufficiale ed il fatto ad esso attribuito si riferisce all’esercizio delle sue funzioni;
- se per il fatto attribuito alla persona offesa è tuttora aperto o si inizia contro di essa un procedimento penale;
- se il querelante domanda formalmente che il giudizio si estenda ad accertare la verità o la falsità del fatto ad esso attribuito.
Se la verità del fatto è provata o se per esso la persona, a cui il fatto è attribuito è, per esso condannata dopo l’attribuzione del fatto medesimo, l’autore della imputazione non è punibile, salvo che i modi usati non rendano per sé stessi applicabili le disposizioni dell’articolo 594, comma primo, ovvero dell’articolo 595 comma primo".
Inoltre l’articolo 599 codice penale statuisce che “Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dagli artt. 594 e 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso” esimendo dalle conseguenze chi ha diffamato una persona perché è stato da essa provocato.
I contrasti maggiori e i problemi più complicati nascono però nella diffamazione a mezzo stampa, prevista dal comma 3 dell’articolo in esame.
In particolare, i diritti di cronaca e critica trovano fondamento nell'articolo 21 della Costituzione, il quale stabilisce che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.” Nasce perciò un contrasto tra due disposizioni di legge, ossia il diritto, sussistente in capo a ciascuno, all’onore e il diritto tutelato dall’articolo 21 della Costituzione. La dottrina e la giurisprudenza hanno quindi delineato ciò che è comunemente indicato con la nozione di “limite del diritto".
La giurisprudenza ha elaborato in dettaglio, nel corso degli anni e dopo molte storiche sentenze, tali limiti del diritto di cronaca (non interessa qui trattare del diritto di critica). Molto sinteticamente, affinché il reato di diffamazione venga scriminato dalla causa di giustificazione che stiamo trattando, occorre:
- che vi sia un interesse pubblico alla notizia;
- che i fatti narrati corrispondano a verità;
- che l'esposizione dei fatti sia corretta e serena (ossia non volutamente offensiva), secondo il principio della continenza.
Ricapitolando quindi, se Tizio scrive qualcosa su Caio e lo pubblica su un quotidiano, qualora sussistano i tre presupposti di cui sopra, egli non sarà punibile e la tutela all’onore di Caio sarà prevaricata dal diritto di cronaca. Il giudice dovrà pertanto dichiarare la non punibilità di chi ha scritto diffamando.
Cosa accade però nel caso in cui vi sia stata inosservanza ed erronea applicazione della legge in un caso di diffamazione a mezzo stampa, da parte del giudice? In primis è necessario puntualizzare che tutti i fatti successivi alla divulgazione di una notizia non hanno rilevanza, dovendosi invece fare esclusivo riferimento ad essa, così come appresa dal giornalista al momento della sua propalazione “….e non già a quanto venga successivamente accertato. Pertanto, l’eventuale discrepanza tra i fatti narrati e quelli effettivamente accaduti non esclude che possa essere invocato l’esercizio del diritto di cronaca, anche sotto il profilo della putatività, quando l’agente, pur avendo assolto a tutti gli oneri connessi all’obbligo di un adeguato controllo delle notizie che intende diffondere, si trovi ad avere una percezione difettosa od erronea della realtà” (si veda in proposito Cassazione penale Sezione V 176303/1987; cfr. Sezione V 212731/1998). “Gli unici contegni valutabili al fine di stabilire la verità, sia pure putativa dei fatti, sotto il profilo della indicazione di fonti informative attendibili e delle verifiche compiute da parte dei convenuti, sono solo quelle anteriori alla pubblicazione e che la veridicità non può essere desunta, ai fini dell’operatività della scriminante dell’esercizio del diritto di cronaca, da circostanze posteriori alla commessa diffamazione (Cassazione penale Sezione V 22.05.2000, Andreoli, in Cassazione penale 2001). Alla verità, anche putativa, della notizia si aggiungano sia la sua rilevanza sociale, essendo stato divulgato, un fatto di indubbio interesse per l’opinione pubblica; sia la sua correttezza formale. Infatti, ad esempio, non sarà diffamatorio un servizio televisivo che sia caratterizzato da toni, da modalità espositive e di presentazione anche visiva assolutamente continenti che non si sono affatto tradotti in“attacchi personali, diretti a colpire su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse” (Cassazione penale Sezione V 13.04.2006 Mascolo Guida al Diritto 2006; cfr. Sezione V 21.12.2000, Arcomanno; cfr. Sezione V 4.04.2000, Panigutti in Cassazionepenale 2001,1204).
COME SI FA
Come accennato nella descrizione, la tutela per una diffamazione perpetrata a mezzo stampa può essere esercitata sia in sede penale, incappando però nelle lungaggini di tale sede, sia in quella civile, più spedita ma con meno garanzie istruttorie.
Sul termine per l'esercizio agiscono due fattori: la data dell'offesa, il cui termine è di 6 anni, e la data in cui la persona offesa viene a conoscenza dell'offesa stessa, il cui termine, come accennato sopra, è di tre mesi. La giurisprudenza tende a interpretare questo termine in senso estensivo.
CHI
Per proporre querela in qualità di persona offesa occorre rivolgersi alla Polizia Giudiziaria o direttamente al Pubblico Ministero. Poiché si chiama in causa un organo giudicante, sarà necessaria l'assistenza di un legale preparato in materia.
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