Da un po’ di tempo ormai nelle pause di lavoro si isolava dai colleghi.
Non aveva mai amato per la verità sedersi in un bar o in un altro luogo pubblico a chiacchierare di nulla, solo battute ironiche, pungenti e a volte piccanti di chi sapeva tenere banco mentre chi non era capace stava ad ascoltarle con un sorriso di circostanza o magari ridendo davvero. Non gli era mai piaciuto, questo.
Così da alcuni mesi quando tutti staccavano per un po’ dal lavoro aveva preso l’abitudine di sparire per introdursi di soppiatto in una stanza che aveva scoperto per caso, mai utilizzata, ne era certo, anche se conteneva un salottino con alcune poltrone bisunta e un tavolino basso. Lì si sedeva comodo, apriva la patta dei pantaloni, toglieva il guinzaglio alle fantasie e si masturbava per tutto il tempo della pausa.
Gli distendeva i nervi, questo, dandogli nuova carica per arrivare alla conclusione della giornata di lavoro. Sapeva di avere bisogno di evadere con il corpo e la mente, sapeva che c’erano desideri, fantasie, sogni, immagini, associazioni mentali a premere sotto la superficie del suo io visibile, lo aveva imparato ormai. E aveva imparato anche ad approfittare di ogni momento favorevole per liberarli sentendosene appagato, se non altro per un po’.
Fin da piccolo si masturbava anche diverse volte al giorno: prima lo considerava un’ossessione, un’aberrazione, una specie di malattia, ma pian piano aveva capito che invece ciò faceva semplicemente parte del suo essere. Come la tendenza a isolarsi, del resto. Anche se nei confronti dei colleghi lo intendeva pure come una sorta di atto di dissociazione dalla vanità di cui li vedeva pervasi, dalla loro povertà di spirito, diceva a se stesso.
Lei era entrata per la prima volta diversi giorni prima. Lasciandolo senza fiato. Aveva aperto la porta d’improvviso, guardato dentro e visto la sua mano tirare fuori il pene dai pantaloni. Già teso. Lo aveva seguito senza che se ne accorgesse, con tutta evidenza, forse incuriosita dal fatto che ogni giorno più o meno alla stessa ora lui spariva dalla circolazione. Forse voleva scoprire che cosa lo portasse lontano dagli altri, oppure aveva sentito le frasi allusive e canzonatorie di qualcuno che gli chiedeva dove fosse finito. Anche se era accaduto solo le prime volte, poi nessuno ci aveva fatto più caso. E lui ne era stato contento.
Con questa collega fra l’altro non aveva mai avuto rapporti di sorta, se non il saluto all’entrata e all’uscita e qualche parola a proposito del lavoro. Nient’altro.
Rimase senza fiato quando se la vide davanti, perciò, gli occhi fissi sul suo pene impugnato dalla mano. Non ebbe nemmeno la presenza di spirito di coprirsi, di ricomporsi, di fare o dire qualcosa. Niente, restò paralizzato dalla sorpresa e dall’imbarazzo: nessuno prima di lui, e ora di lei, era mai entrato in quella stanza. A sua memoria, almeno. Ora erano lì entrambi e neanche lei aveva detto una parola. Si limitò a osservarlo per diversi secondi. E lui si sentiva inchiodato da quello sguardo. Benché, notò allo stesso tempo con stupore, dagli occhi di lei non trasparisse biasimo né sarcasmo.
In silenzio lei chiuse la porta a chiave, andò a sederglisi di fronte, si abbassò i pantaloni, sebbene a fatica, e aperte le gambe imitò lui che, superato non sapeva come l’attimo di sbalordimento, aveva cominciato carezzarsi il membro indurito. Si masturbarono insieme, senza una parola, e lei venne quasi subito con gemiti sommessi. Poi lo guardò chiudere gli occhi ed eiaculare su alcuni fazzoletti di carta che aveva steso sopra la pancia. Si rivestì quindi e appena pronta sorrise, si alzò, riaprì la porta assicurandosi che nel corridoio non ci fosse nessuno e infine sparì.
Da quella volta lo aveva raggiunto ogni giorno nella stanza all’ora di pausa. E aveva cominciato a indossare gonne o vestiti, che le permettevano di scoprire il ventre più agevolmente. Lui l’aspettava con il pene già turgido, lo tirava fuori dai pantaloni guardandola insinuare una mano fra le cosce e si masturbava assieme a lei.
A volte arrivava prima lui all’orgasmo, altre volte era lei, però accadeva pure che venissero insieme. E dopo, mentre lui si asciugava, lei gli faceva un sorriso e usciva dalla stanza. Mai una parola, mai nemmeno un saluto: quello se lo rivolgevano solo all’inizio e alla fine dell’orario di lavoro.
Anche quel giorno lei era entrata in fretta e chiusa la porta gli si era seduta di fronte, sollevando la corta gonna e togliendosi le mutandine. Non lo aveva mai fatto, questo: fino ad allora aveva solo insinuato una mano sotto la stoffa. Gli mostrò la vulva bagnata di umori, prima di cominciare a carezzarsela, lasciando scorrere lo sguardo dai suoi occhi al membro eretto. Scostò quindi le labbra, infilò uno, poi due dita nella vagina, salì fino al clitoride e lo massaggiò mentre con l’altra mano sollevava il maglioncino, spostava il reggiseno e si pizzicava i capezzoli. Poco dopo sospirò e, non appena lui venne a fiotti, rantolando piano, lanciò un piccolo urlo di piacere.
Gli fece un sorriso mentre lasciava la stanza.
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