Uno sguardo, un odore, un profumo, un contatto casuale, una voce... E sei perduto
Articolo di Anonimi pubblicato il 3/12/2015 (2025 Letture)
Sicilia, Luglio, caldo apocalittico, sono le tre del pomeriggio sull’Intercity Conca d’Oro Messina-Siracusa. L’impianto dell’aria condizionata funziona male con il risultato di alternare sudate orrende a geli artici. Ho il portatile aperto ma non riesco a scrivere nulla: così mi perdo a osservare la donna che mi siede di fronte e non capisco proprio come faccia con questo caldo a star sepolta in tutto quel nero.
E’ vestita a lutto stretto, calze comprese, e questo, anche per la Sicilia, mi pare fuori dal tempo.
Sui 45 anni, più o meno, è grassoccia, ha la fronte bassa e i capelli ricciuti tenuti all’indietro da un cerchietto simil-tartaruga di quelli che si usavano una volta.
Il vestito pare una cappina, abbottonato davanti, scollatura pudica, unico gioiello un pesante crocefisso d’oro che sobbalza ai movimenti del treno.
Insomma, una donnetta insignificante.
Se ne sta lì, a guardar fissa fuori, le mani screpolate raccolte in grembo.
Gli altri occupanti sono un prete che legge attentamente il giornale, un donnone, che divora un enorme panino seduta accanto al reverendo e due uomini che da un bel pezzo sono incollati alle mie gambe nude e alla mia scollatura: certo il mio corto abituccio marinaro anticaldo da turista contrasta visibilmente con il look funereo della vedova.
A un certo punto arriva un militare, un ufficiale, che chiede se può occupare l’unico posto libero vicino alla donna in nero.
Lo chiede a me.
-Affermativo-
rispondo sorridendo.
E lui gentilmenete si sistema tra la vedova e la cicciona.
A questo punto chiudo gli occhi e mi appoggio all’indietro, abbandonandomi a una fantasia che improvvisamente illumina la noia.
Far rivivere a mio modo e con altri personaggi la famosa “scopata senza cerniera “-ovvero l'attimo fuggente non programmato del sesso- dal libro “Paura di volare” di Erika Jong che ispirò anche un vecchio film a episodi protagonista Nino Manfredi con sceneggiatura di Enzo Siciliano.
Siamo nella Sicilia degli anni 70, il treno è uno squinternato accellerato che arranca per la linea Caltanissetta –Agrigento in un Luglio arroventato.
Dal finestrino aperto foglie di ulivi ogni tanto entrano nella carrozza, fuori il paesaggio è arso da far pena.
Le cicale cantano a squarciagola, i paesini bianchi e rosa disseminati quà e là paiono mummificati nella calura.
L’ondeggiare del treno e lo sferragliare ritmico sono ipnotici.
Vicino al finestrino sta seduta la vedova, lo sguardo perso nel polveroso paesaggio.
La mia protagonista è una donna ancora giovane, matura nei fianchi e nel seno rigoglioso.
Ha un viso bello, dai tratti decisi, severo, le sopracciglia folte, gli occhi di liquida ossidiana, i capelli nerissimi e lucida stretti in una treccia arrotolata sulla nuca.
Indossa un vestito nero che pare di seta, aderente che tende a scivolare oltre le ginocchia, mostrando un paio di gambe non lunghe, forse un poco pesanti di caviglia, ma in complesso belle.
L’abito ha una strana scollatura a trapezio, anni 50, che copre con fatica il seno generoso.
La croce d’oro rimbalza a ogni sobbalzo del treno su quella stoffa morbida che come un guscio protegge i due bianchi globi di carne.
Tiene le mani in grembo, e le tormenta spesso, ruotando le dita intorno alla fede nuziale, quando non è impegnata ad aggiustarsi la gonna.
Ogni tanto con un fazzolettino bianco si asciuga le gocce di sudore che le imperlano il viso.
Ha lo sguardo fisso fuori dal finestrino, e dentro a quegli occhi c’è il vuoto assoluto.
Nessuna emozione.
Ora vediamo gli altri personaggi.
Vicino alla porta scorrevole, dalla parte della vedova, siede una cicciona anziana, sudatissima, le gambe violacee segnate di vene varicose, in grembo un cesto coperto da un fazzolettone blù.
A un certo punto la stoffa si muove e dal bordo spunta la testa coloratissima e vigorosa di un bel gallo che la donna svelta si affretta a far rientrare.
Di fronte a lei c’è un prete, un fazzoletto bianco intorno al collo per limitare i danni del sudore, la tonaca poco pulita un poco slacciata, rosso in viso per il caldo, e non solo per quello.
Ogni tanto lancia occhiate furtive alla vedova per poi immergere nuovamente il naso in un consunto breviario.
Di fronte alla mia protagonista sono seduti una mamma con un ragazzino, che si muove in continuazione, aprendo e chiudendo la porta scorrevole dello scompartimento.
E la madre come una litania, a voce alta, ripete:
-Pippuzzu, t’agghie rittu, vieni accà e assittiti o cantu di mia, nun me lu fari ripetiri navutra vota, prima ca ti dugnu na naticata... Parrinu (parroco) lo dovete scusare, picciriddu iè,
mi fa dispirari; per favuri ciù dissi vossia ca se fa lu malu lu Signuri lu manna a lu infiernu-
Ma il rimprovero è inutile, il prete sospira e non parla, par che dica -con questo caldo è fatica anche parlare- e il bimbo ricomincia da capo.
In questo incrociar di sguardi, di grida di madre, rumori infantili, improvvisa comparsa del multicolore gallo che finalmente attira l’attenzione del ragazzino creando ulteriore scompiglio, la vedova è sempre immobile, pare una statua.
Ora il treno si ferma in una minuscola stazione..
Qualcuno scende, con fagotti e altri bagagli e sale un militare, in grigioverde.
Il giovane ha visto, da terra, sfilargli davanti il viso della vedova, la nota, ne è attratto, e una volta salito cerca lo scompartimento.
Arriva sulla porta e con gentilezza chiede se il posto è libero.
Alla risposta affermativa si siede tra la donna in nero e la corpulenta padrona del gallo.
Ecco, il militare lo vedo scuro di pelle e capelli, dalla bocca larga, con splendidi denti, gli occhi nocciola, allungati, orientaleggianti, le ciglia folte, infantili.
Non molto alto, il corpo snello bagnato di sudore, si allunga sul sedile, divaricando le gambe.
Sta stretto tra le due donne, cosicché appena il treno riprende il ritmico movimento le sue cosce sfregano contro quelle della cicciona e della vedova.
La prima tenta di ritirarsi ancor più contro la parete, ma potrebbe farne a meno visto che si capisce subito a chi è rivolto l’interesse del ragazzo.
Per qualche secondo pare ipnotizzato dalla grossa croce d’oro al collo della vedova e dal suo ballonzolare sul petto lucido di seta:
Op.
Pausa.
Op.
Salta su un seno umido e poi sull’altro.
Il pozzo e il pendolo.
Per un breve periodo di tempo l’uomo resta immobile, affascinato.
La donna tiene sempre lo sguardo fisso fuori del finestrino, anche quando sistema la gonna sulle ginocchia o cerca il fazzoletto per asciugarsi il sudore.
Il ragazzino, forse intimorito dalla divisa, ha smesso di agitarsi e legge un “Topolino”.
Il prete, vinto dal caldo, si è addormentato, come la cicciona con il cesto..
La madre si è messa a consultare un settimanale di pettegolezzi vari.
Il soldato si alza, con la scusa di aprire del tutto il finestrino, in realtà per guardare bene in viso la donna in lutto.
Che non batte ciglio.
Nel sedersi così, come per caso, le sfiora un seno con un braccio.
Poi lentamente abbandona la mano sinistra tra la sua coscia e quella di lei e comincia a far vagare le dita nella stoffa morbida apprezzando la carne elastica e soda, spingendosi fino al fianco nell’esplorazione.
Lei continua a guardar fuori dal finestrino fissando gli ulivi come se fosse Dio, li avesse appena creati e si chiedesse annoiato come chiamarli.
Il soldato è visibilmente eccitato, accavalla le gambe, ha la mascella contratta, si capisce che febbrilmente sta pensando a come appagare il suo desiderio.
In quel momento il ragazzino grida:
-Grotte, arrisvegliativi...-
allora è tutto un fervor di preparativi, un raccoglier roba.
Ma il soldato e la vedova restano al loro posto.
Il treno riparte, il crocefisso riprende il suo saltellare ritmico.
Allora il giovane infila di colpo la mano tra le cosce della donna, sale oltre le calze fino a raccogliere nel palmo rovesciato il peso del suo sesso sotto l’intimo di cotone.
Lei chiude quelle dita in una morsa di carne.
Il soldato resta un attimo indeciso ...quando arriva la galleria, chiaro simbolo dell’atto sessuale che tra poco si consumerà.
Al buio, naturalmente, perché si sa , in quei vecchi treni la luce spesso mancava.
Ora in questa scena non ci vedo braccia e gambe che si agitano, furori erotici di vestiti strappati, ridicoli dimenar di natiche, gambe spalancate degne di ginnasti da medaglia d’oro.
Immagino un tutto buio che dura qualche secondo, il rumore del treno in sottofondo mentre si ode distintamente il frusciar di stoffa ruvida contro la seta, di cerniere che si aprono, di carne contro carne, niente lamenti, sospiri, grida, solo parole incomprensibili mormorate a voce bassissima.
Si compie un rito e ciascun spettatore o lettore deve poterlo interpretare e immaginare come preferisce.
Il fischio della locomotiva annuncia il ritorno alla luce.
La vedova guarda di nuovo fuori, solo un ciuffo ribelle le danza su una gota, le mani nervosamente sistemano la gonna, poi il fazzoletto torna ad asciugare il sudore, ora più copioso, soprattutto sul labbro superiore.
Il soldato è frastornato: i pantaloni ancora mezzi sbottonati, ha il respiro affrettato, gli occhi chiusi, le mani abbandonate, ma in un secondo si riprende e si sistema ravviandosi i capelli e gli abiti.
Ora forse il ragazzo sta per parlare ma la donna si alza, la borsetta al braccio e senza degnarlo di uno sguardo si avvia alla porta.
Esce nel corridoio, e la mano alzata di lui, pronto a fermarla resta lì, inutile.
Siamo arrivati ad Aragona: lei scende e si avvia per attraversare il binario parallelo (sono solo due) su un passaggio di legno.
L’uomo la segue da dietro al finestrino con lo sguardo, quei fianchi agiscono su di lui come una calamita.
Si alza per seguirla ma in quel momento arriva un merci, che gliela nasconde alla vista.
Allora scuotendo il capo, ridendo tra sé, si stende per lungo su tre posti liberi e decide di farsi un breve sonnellino, fino ad Agrigento.
E’ vestita a lutto stretto, calze comprese, e questo, anche per la Sicilia, mi pare fuori dal tempo.
Sui 45 anni, più o meno, è grassoccia, ha la fronte bassa e i capelli ricciuti tenuti all’indietro da un cerchietto simil-tartaruga di quelli che si usavano una volta.
Il vestito pare una cappina, abbottonato davanti, scollatura pudica, unico gioiello un pesante crocefisso d’oro che sobbalza ai movimenti del treno.
Insomma, una donnetta insignificante.
Se ne sta lì, a guardar fissa fuori, le mani screpolate raccolte in grembo.
Gli altri occupanti sono un prete che legge attentamente il giornale, un donnone, che divora un enorme panino seduta accanto al reverendo e due uomini che da un bel pezzo sono incollati alle mie gambe nude e alla mia scollatura: certo il mio corto abituccio marinaro anticaldo da turista contrasta visibilmente con il look funereo della vedova.
A un certo punto arriva un militare, un ufficiale, che chiede se può occupare l’unico posto libero vicino alla donna in nero.
Lo chiede a me.
-Affermativo-
rispondo sorridendo.
E lui gentilmenete si sistema tra la vedova e la cicciona.
A questo punto chiudo gli occhi e mi appoggio all’indietro, abbandonandomi a una fantasia che improvvisamente illumina la noia.
Far rivivere a mio modo e con altri personaggi la famosa “scopata senza cerniera “-ovvero l'attimo fuggente non programmato del sesso- dal libro “Paura di volare” di Erika Jong che ispirò anche un vecchio film a episodi protagonista Nino Manfredi con sceneggiatura di Enzo Siciliano.
Siamo nella Sicilia degli anni 70, il treno è uno squinternato accellerato che arranca per la linea Caltanissetta –Agrigento in un Luglio arroventato.
Dal finestrino aperto foglie di ulivi ogni tanto entrano nella carrozza, fuori il paesaggio è arso da far pena.
Le cicale cantano a squarciagola, i paesini bianchi e rosa disseminati quà e là paiono mummificati nella calura.
L’ondeggiare del treno e lo sferragliare ritmico sono ipnotici.
Vicino al finestrino sta seduta la vedova, lo sguardo perso nel polveroso paesaggio.
La mia protagonista è una donna ancora giovane, matura nei fianchi e nel seno rigoglioso.
Ha un viso bello, dai tratti decisi, severo, le sopracciglia folte, gli occhi di liquida ossidiana, i capelli nerissimi e lucida stretti in una treccia arrotolata sulla nuca.
Indossa un vestito nero che pare di seta, aderente che tende a scivolare oltre le ginocchia, mostrando un paio di gambe non lunghe, forse un poco pesanti di caviglia, ma in complesso belle.
L’abito ha una strana scollatura a trapezio, anni 50, che copre con fatica il seno generoso.
La croce d’oro rimbalza a ogni sobbalzo del treno su quella stoffa morbida che come un guscio protegge i due bianchi globi di carne.
Tiene le mani in grembo, e le tormenta spesso, ruotando le dita intorno alla fede nuziale, quando non è impegnata ad aggiustarsi la gonna.
Ogni tanto con un fazzolettino bianco si asciuga le gocce di sudore che le imperlano il viso.
Ha lo sguardo fisso fuori dal finestrino, e dentro a quegli occhi c’è il vuoto assoluto.
Nessuna emozione.
Ora vediamo gli altri personaggi.
Vicino alla porta scorrevole, dalla parte della vedova, siede una cicciona anziana, sudatissima, le gambe violacee segnate di vene varicose, in grembo un cesto coperto da un fazzolettone blù.
A un certo punto la stoffa si muove e dal bordo spunta la testa coloratissima e vigorosa di un bel gallo che la donna svelta si affretta a far rientrare.
Di fronte a lei c’è un prete, un fazzoletto bianco intorno al collo per limitare i danni del sudore, la tonaca poco pulita un poco slacciata, rosso in viso per il caldo, e non solo per quello.
Ogni tanto lancia occhiate furtive alla vedova per poi immergere nuovamente il naso in un consunto breviario.
Di fronte alla mia protagonista sono seduti una mamma con un ragazzino, che si muove in continuazione, aprendo e chiudendo la porta scorrevole dello scompartimento.
E la madre come una litania, a voce alta, ripete:
-Pippuzzu, t’agghie rittu, vieni accà e assittiti o cantu di mia, nun me lu fari ripetiri navutra vota, prima ca ti dugnu na naticata... Parrinu (parroco) lo dovete scusare, picciriddu iè,
mi fa dispirari; per favuri ciù dissi vossia ca se fa lu malu lu Signuri lu manna a lu infiernu-
Ma il rimprovero è inutile, il prete sospira e non parla, par che dica -con questo caldo è fatica anche parlare- e il bimbo ricomincia da capo.
In questo incrociar di sguardi, di grida di madre, rumori infantili, improvvisa comparsa del multicolore gallo che finalmente attira l’attenzione del ragazzino creando ulteriore scompiglio, la vedova è sempre immobile, pare una statua.
Ora il treno si ferma in una minuscola stazione..
Qualcuno scende, con fagotti e altri bagagli e sale un militare, in grigioverde.
Il giovane ha visto, da terra, sfilargli davanti il viso della vedova, la nota, ne è attratto, e una volta salito cerca lo scompartimento.
Arriva sulla porta e con gentilezza chiede se il posto è libero.
Alla risposta affermativa si siede tra la donna in nero e la corpulenta padrona del gallo.
Ecco, il militare lo vedo scuro di pelle e capelli, dalla bocca larga, con splendidi denti, gli occhi nocciola, allungati, orientaleggianti, le ciglia folte, infantili.
Non molto alto, il corpo snello bagnato di sudore, si allunga sul sedile, divaricando le gambe.
Sta stretto tra le due donne, cosicché appena il treno riprende il ritmico movimento le sue cosce sfregano contro quelle della cicciona e della vedova.
La prima tenta di ritirarsi ancor più contro la parete, ma potrebbe farne a meno visto che si capisce subito a chi è rivolto l’interesse del ragazzo.
Per qualche secondo pare ipnotizzato dalla grossa croce d’oro al collo della vedova e dal suo ballonzolare sul petto lucido di seta:
Op.
Pausa.
Op.
Salta su un seno umido e poi sull’altro.
Il pozzo e il pendolo.
Per un breve periodo di tempo l’uomo resta immobile, affascinato.
La donna tiene sempre lo sguardo fisso fuori del finestrino, anche quando sistema la gonna sulle ginocchia o cerca il fazzoletto per asciugarsi il sudore.
Il ragazzino, forse intimorito dalla divisa, ha smesso di agitarsi e legge un “Topolino”.
Il prete, vinto dal caldo, si è addormentato, come la cicciona con il cesto..
La madre si è messa a consultare un settimanale di pettegolezzi vari.
Il soldato si alza, con la scusa di aprire del tutto il finestrino, in realtà per guardare bene in viso la donna in lutto.
Che non batte ciglio.
Nel sedersi così, come per caso, le sfiora un seno con un braccio.
Poi lentamente abbandona la mano sinistra tra la sua coscia e quella di lei e comincia a far vagare le dita nella stoffa morbida apprezzando la carne elastica e soda, spingendosi fino al fianco nell’esplorazione.
Lei continua a guardar fuori dal finestrino fissando gli ulivi come se fosse Dio, li avesse appena creati e si chiedesse annoiato come chiamarli.
Il soldato è visibilmente eccitato, accavalla le gambe, ha la mascella contratta, si capisce che febbrilmente sta pensando a come appagare il suo desiderio.
In quel momento il ragazzino grida:
-Grotte, arrisvegliativi...-
allora è tutto un fervor di preparativi, un raccoglier roba.
Ma il soldato e la vedova restano al loro posto.
Il treno riparte, il crocefisso riprende il suo saltellare ritmico.
Allora il giovane infila di colpo la mano tra le cosce della donna, sale oltre le calze fino a raccogliere nel palmo rovesciato il peso del suo sesso sotto l’intimo di cotone.
Lei chiude quelle dita in una morsa di carne.
Il soldato resta un attimo indeciso ...quando arriva la galleria, chiaro simbolo dell’atto sessuale che tra poco si consumerà.
Al buio, naturalmente, perché si sa , in quei vecchi treni la luce spesso mancava.
Ora in questa scena non ci vedo braccia e gambe che si agitano, furori erotici di vestiti strappati, ridicoli dimenar di natiche, gambe spalancate degne di ginnasti da medaglia d’oro.
Immagino un tutto buio che dura qualche secondo, il rumore del treno in sottofondo mentre si ode distintamente il frusciar di stoffa ruvida contro la seta, di cerniere che si aprono, di carne contro carne, niente lamenti, sospiri, grida, solo parole incomprensibili mormorate a voce bassissima.
Si compie un rito e ciascun spettatore o lettore deve poterlo interpretare e immaginare come preferisce.
Il fischio della locomotiva annuncia il ritorno alla luce.
La vedova guarda di nuovo fuori, solo un ciuffo ribelle le danza su una gota, le mani nervosamente sistemano la gonna, poi il fazzoletto torna ad asciugare il sudore, ora più copioso, soprattutto sul labbro superiore.
Il soldato è frastornato: i pantaloni ancora mezzi sbottonati, ha il respiro affrettato, gli occhi chiusi, le mani abbandonate, ma in un secondo si riprende e si sistema ravviandosi i capelli e gli abiti.
Ora forse il ragazzo sta per parlare ma la donna si alza, la borsetta al braccio e senza degnarlo di uno sguardo si avvia alla porta.
Esce nel corridoio, e la mano alzata di lui, pronto a fermarla resta lì, inutile.
Siamo arrivati ad Aragona: lei scende e si avvia per attraversare il binario parallelo (sono solo due) su un passaggio di legno.
L’uomo la segue da dietro al finestrino con lo sguardo, quei fianchi agiscono su di lui come una calamita.
Si alza per seguirla ma in quel momento arriva un merci, che gliela nasconde alla vista.
Allora scuotendo il capo, ridendo tra sé, si stende per lungo su tre posti liberi e decide di farsi un breve sonnellino, fino ad Agrigento.
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