Oggi che ho quasi 30 anni, ripercorrendo la storia della mia infanzia e adolescenza mi rendo conto di quanto all’origine di tanti miei problemi ci fosse l’influenza esercitata su di me da mia madre, una donna a sua volta insicura e sempre timorosa di tutto.
Ricordo che, da piccola, mamma mi teneva legata a lei in maniera soffocante e ossessiva. Mi voleva sempre accanto a sé, non permetteva nemmeno ai parenti più stretti di tenermi in braccio. Diffidava di tutti, e per questo cercava di convincermi che bisogna guardarsi da chiunque, perché il mondo è cattivo. Ancora quando avevo 16 o 17 anni, tutto mi era vietato. La regola inderogabile era: «a casa non appena fa buio». Mio padre, in teoria, sarebbe stato anche un po’ più tollerante, ma era un mollacchione e mia madre lo sovrastava col suo carattere così contorto: donna pavida, sì, ma anche inflessibile in famiglia.
Non c’è quindi da stupirsi se a 19 anni mi ritrovavo davvero sola, ancora a digiuno di qualsiasi esperienza con l’altro sesso. Non che fossi brutta, ma sicuramente ero priva di qualsiasi attrattiva. Invece di reagire da ribelle all’oppressione familiare, come fanno altre ragazze, mi ero chiusa in me stessa come un riccio. Da una parte la mia infinita timidezza mi bloccava, dall’altra con la mia scontrosità scoraggiavo chiunque dall’avvicinarmi. Stavo per compiere 20 anni, e nessun maschio mi aveva mai sfiorata! Che disastro: nessuno mi cercava, non sapevo nemmeno da che parte cominciare, non avevo una vera amica con cui consigliarmi.
Decisione avventata
Ma dovevo “svegliarmi”, e alla fine presi la decisione peggiore. Pensai che l’unico che sembrava tenermi gli occhi addosso era Paolino, il figlio del portinaio della casa di fronte: uno sui 25 anni, uno stupidotto senza arte né parte, che però aveva l’aria innocua, e fisicamente non era sgradevole. Cominciai a ricambiare i suoi sguardi: un giorno lasciai che mi attaccasse bottone, e quando mi propose di fare un giro in macchina accettai. Quel pomeriggio persi la mia verginità, nella maniera più disastrosa possibile. Fu sui sedili della macchina, in un prato di periferia. Lui era impacciato e maldestro, io peggio di lui, e per giunta scoprii di non provare la minima attrazione, né desiderio, né tanto meno piacere. Sentii male e basta, e casomai le altre sensazioni si avvicinavano di più allo schifo.
Tornai a casa angosciata e depressa. Mi facevo pena, ma col passare dei giorni mi convinsi che forse in una situazione meno forzata sarebbe andata meglio, e non mi restava che aspettare un’ occasione decente…
L’occasione arrivò dopo qualche settimana. Franco, un coetaneo simpatico e per bene, entrò casualmente nella mia vita un pomeriggio, chiedendomi un’informazione alla fermata dell’autobus. Era così carino e gentile e che con lui vinsi di botto la mia timidezza: salii con lui sull’autobus, continuai a chiacchierare, scesi alla sua stessa fermata e accettai che mi offrisse un caffé. E quando mi invitò a uscire con lui, dissi di sì.
Ci frequentammo per una settimana, e tutto filava bene. Arrivò il momento del primo vero bacio, che finalmente mi fece battere il cuore, e venne anche il giorno in cui, assenti i suoi, Franco mi fece salire in casa sua, mi carezzò tutta e mi spogliò. Finalmente ero tra le braccia di un uomo, in un letto grande e tutto nostro. Finalmente avrei conosciuto cosa vuol dire fare davvero l’amore, mica quella cosa orribile tentata in macchina! Eppure, anche quella volta, ne uscii delusa e triste. Non provai alcun piacere. E nemmeno Franco ne provò, a causa della mia enorme freddezza. A un certo punto lo respinsi, gli domandai scusa, mi allontanai sgomenta, e feci in modo che non ci incontrassimo più.
«Allora sono frigida!» mi dissi «Forse ho bisogno dello psicologo».
In uno di quei giorni di infinita tristezza, mentre in una libreria stavo curiosando tra i titoli, sentii una voce alle mie spalle: «Se scegli questo libro fai la cosa giusta. L’ho letto, è bellissimo».
Mi voltai di scatto e vidi una giovane donna sulla trentina, alta e magra, non bella ma con un sorriso aperto e amichevole. Seguii il suo consiglio e uscimmo assieme dal negozio, parlando di romanzi e di musica, le mie due passioni. Aveva un nome curioso, Esmeralda, ed era l’esatto opposto di me: simpatica, brillante, estroversa. In sua compagnia mi sentivo davvero a mio agio.
Bella amicizia
Ci scambiammo i numeri di telefono, e una sera ci vedemmo per una pizza. Esmeralda era molto disponibile con me, e a un certo punto pensai anche di parlarle dei miei problemi con il sesso: lei di certo non doveva averne, disinvolta com’era. Quando, dopo una decina di giorni, mi propose di andare con lei a trascorrere un fine settimana al mare, accettai volentieri. Con Esmeralda mi sentivo bene, libera, sciolta dai miei impacci.
Partimmo un sabato mattina presto, e andammo direttamente alla spiaggia: erano i primi di giugno, ma faceva già molto caldo e l’acqua era una meraviglia. Ebbi subito la sensazione che Esmeralda mi guardasse in modo strano, ma non diedi molto peso alla cosa.
Arrivammo a casa sua verso le due, e io chiesi di potermi fare una doccia. Mi disse di cominciare, che presto sarebbe venuta a farla anche lei. Avevo appena messo la testa sotto l’acqua quando la sentii arrivare e venire vicina. Ero nuda e un po’ imbarazzata: accostai bene la tenda della doccia e mi voltai verso la parete, percorsa da una sottile inquietudine.
Feci finta di niente, ma non potei non sentire il fruscio della tenda di plastica che si apriva, e subito avvertii il tocco delle sue mani sulla pelle.
Erano carezze dolci e delicate, come le parole che Esmeralda mi stava sussurrando all’orecchio. Parole che mi suonavano un po’ assurde, eppure calde e avvolgenti. Poi prese a baciarmi il collo, e io scoprii all’improvviso di provare quell’ eccitazione che invano avevo sognato di trovare in compagnia di un uomo. Insomma, compresi d’istinto che con Esmeralda sarei riuscita a fare l’amore.
Quei due giorni con Esmeralda furono meravigliosi, anche se poi ci rimasi davvero male quando mi rivelò di avere già una compagna di vita. Insomma, per lei ero stato un “bel capriccio”. Ma col tempo ho imparato ad esserle riconoscente, perché grazie a lei ho capito la mia vera natura. Non ho più tormenti, non ho più paure verso l’altro sesso, perché come a tanti altri mi piacciono le persone del mio stesso sesso.
Adele ‘79
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Racconto del tradimento di Anna, 35 anni, di Isernia | GRAZIE ALLA SUA MUSICA HO ALLONTANATO DA ME L’OMBRA DELLA MORTE |
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