Il tema che avete affrontato, relativo alla precarizzazione del giornalismo, specie italiano, è, come facilmente si comprende, complicato e dalle numerose sfaccettature. Lo spazio è limitato e, quindi, taglio le argomentazioni con l'accetta.
Rispetto a quanto scrivete, va precisato che al momento, almeno in Italia, l'online come sostituto della carta, sia dal punto di vista del lavoro che offre e del reddito che produce per le stesse aziende, oltre che per i lavoratori, è, sostanzialmente, una chimera. I dati Nielsen, relativi al mercato pubblicitario ci dicono che l'online perde il 3% nel periodo che va da gennaio ad agosto di quest'anno. Il tutto su una quota di mercato già minoritaria e sottopagata anche rispetto alle tariffe della carta stampata e della televisione, peraltro già significativamente ridimensionate.
Anzi, spesso l'inserzione pubblicitaria per l'online è l'omaggio nel pacchetto offerto al cliente da parte delle aziende editoriali che dispongono di diverse piattaforme tecnologiche per la produzione di informazione. Quindi, di quelle più grandi e solide, le quali dovrebbero guidare la ripresa di un settore in forte crisi.
A questa situazione si aggiunge lo sviluppo abnorme dell'offerta di forza lavoro nel nostro settore. All'Ordine dei giornalisti sono iscritti ben oltre centomila cittadini. Molti vogliono svolgere la professione giornalistica, ma il mercato del lavoro ha la tendenza esattamente opposta. Tanti sono disponibili a svolgere questa professione accettando trattamenti economico inferiori a quelli di una badante (in quest'affermazione non vi alcun disprezzo verso quest'ultima attività, pesante e difficile). Gli editori, cosi', hanno a disposizione una forza lavoro enorme nella quale "pescano" a prescindere da ogni considerazione relativa alla qualità della prestazione.
Iniziative come la "Carta di Firenze" e la legge relativa all'equo compenso giornalistico sono fatti positivi, ma da sole non bastano se non si accompagnano ad una disponibilità dei giornalisti alla lotta ed all'azione sindacale, al conflitto insomma, senza il quale anche le migliori regole restano lettera morta.
Lo dimostra la vicenda degli Uffici stampa pubblici per i quali una legge dello Stato ha previsto delle norme e che si svolgesse una trattativa sindacale per definirne il corretto inquadramento. La legge risale all'anno del Signore Duemila. Siamo nell'ultimo scorcio del 2013 e gli aspetti principali di quelle norme non hanno avuto applicazione facendo mancare, cosi', ogni certezza relativamente a quale sia il modo corretto di inquadrare un "giornalista pubblico" causando la diffusione delle più fantasiose soluzioni, in genere ai danni dei lavoratori e non certo finalizzate a garantire una informazione pubblica di qualità. Relativamente a quanto accaduto in questi 13 anni vanno ricordate le responsabilità di Cgil-Cisl-Uil che, a livello nazionale, si sono opposte alla trattativa, peraltro prevista dalla legge.
Insomma, i problemi sono molti e di difficile soluzione. Malgrado tutto ciò, anche in queste settimane, il Sindacato dei giornalisti sta cercando, nell'ambito di un difficile confronto con gli editori, di individuare soluzioni che migliorino le condizioni materiali dei tanti collaboratori, riaprendo il mercato del lavoro, evitando che si arrivi ad una "soluzione finale" del problema che forse piacerebbe a qualcuno: trasformare tutti in precari. Non si è mai visto, almeno nel mondo del lavoro, che la condizione di qualcuno migliori peggiorando quella di altri. L'obiettivo nostro sono condizioni di lavoro dignitose per tutti, ben sapendo, però, che il settore editoriale non ha possibilità illimitate di lavoro, specie alla luce di una crisi che è economica, ma anche di trasformazione epocale.
(Giovanni Rossi, presidente della Federazione Nazionale della Stampa Italiana - Fnsi)
Naviga negli articoli | |
Elogio al sentimento: commento all'aforisma 372 di Blaise Pascal | Giornalismo |
|