Richard Bach diceva “ogni regalo è un augurio di felicità”. Penso che molti di noi, nella corsa al regalo, rischiano di perdere di vista questo augurio. Purtroppo viviamo immersi in un tempo che va veloce e diritto come una freccia, e tutto è in rapida successione: i regali, l’albero di Natale, gli addobbi sono tutte cose che vanno fatte, diventano “cose da fare per forza”. Altro che gioia e augurio di felicità! Si potrebbe dire che molti di noi sono più stressati che gioiosi dall’arrivo del Natale.
Il Natale, così come lo viviamo oggi, produce un alterazione degli abituali ritmi di vita, delle nostre routine e ci espone a situazioni inusuali. Senza considerare poi che questo particolare periodo dell’anno ci mette di fronte ad aspetti irrisolti delle nostre relazioni con familiari, parenti e amici, che potrebbero generare ansia e tensioni.
Purtroppo viviamo in un epoca che non tollera fisiologici stati d’animo quali la malinconia o la tristezza. È un epoca dove tutto deve essere e apparire happy. Le famiglie felici le immaginiamo come quella del Mulino Bianco. Le persone che festeggiano il Natale hanno tutti un cappello rosso con il pon-pon bianco e cantano in coro “Oh happy day…”. Sembra quasi che sia obbligatorio essere felici, happy o very happy… e se così invece non fosse? Se invece ci sentissimo leggermente sottotono? Di conseguenza potrebbe capitarci di percepire in noi un senso di inadeguatezza, o senso di colpa, per non essere come “gli altri” ci vogliono. E sempre per adeguarci a questi schemi, ecco che lo scambio delle strenne diventa una corsa forsennata al regalo, dove in una sorta di attacco compulsivo da acquisto-mania si perde di vista l’altro e ciò che veramente desidera. Purtroppo così, il senso originario di scambiarsi le strenne, di condividere un momento speciale, perde il suo significato per lasciare posto a qualcosa di effimero, un momento che in origine era mistico oggi diventa semplicemente consu-mistico.
La sera del 24 Dicembre, la maggior parte di noi si incontra, si siede intorno ad un tavolo dove sono state preparate pietanze gustose in linea con la tradizione. Si chiacchiera, si mangia abbondantemente, qualcuno con la tv accesa, altri in una chiassosa baraonda. Ma se ci si fermasse e ci si domandasse che cosa si stia veramente celebrando, credo che la maggior parte di noi non saprebbe esattamente rispondere ignorando quale sia il significato profondo che ci portiamo dietro da oltre duemila anni.
Ritrovare il senso del Natale
Se diamo uno sguardo al nostro mondo, potremo notare come oramai Il Natale non appartiene più solo alla comunità cristiana, ma a tutti gli uomini, in quanto è una festa diffusa in tutti i continenti. Ha assunto un significato universale ma allo stesso tempo trasversale. È la festa dell’Uomo, di Gesù Cristo. Ed insieme, come da tradizione antichissima, è la festa della Luce. Potremmo dire che è la festa dell’Uomo ridestato dalla Luce.
Questa festa resiste e va sempre più diffondendosi, nonostante le leggi del mercato capitalistico ne stiano modificando profondamente il significato affettivo e soprattutto spirituale, denudandola del suo significato mistico e simbolico.
Se andiamo alla ricerca dell’origine del Natale potremmo osservare che esiste un Natale dal punto di vista storico, geografico, storiografico, ed un altro che include il punto di vista mitico e mitologico, molto più antico, legato ai ritmi del sole e della luna, alle festività solari, al solstizio d’inverno e al culto del “Sol Invictus”. Scopriamo, così, che questa Celebrazione detiene fin dall’antichità una importante dimensione cosmica.
Ogni Natale ci riporta nella dimensione del mito e del rito, un rito collettivo che ravviva sulla terra luci e speranze, proprio nel periodo in cui le tenebre sono più lunghe. Ogni anno, mentre prepariamo il presepio o addobbiamo l’albero, ripercorriamo le strade della memoria, ritroviamo i gesti che abbiamo appreso fin dall’infanzia, e si rinnova con le varie età della vita tramandandosi di generazione in generazione. Questo vale per le famiglie, per i genitori, ma anche per chi è solo, perché nella notte di Natale volenti o nolenti ci si sente coinvolti in un evento che abbraccia tutti, perché parla in maniera misteriosa a tutta l’umanità. È come se si andasse dal macrocosmo al microcosmo, non solo le tenebre planetarie iniziano a recedere (vedi solstizio d’inverno 21 dicembre), ma anche quelle dentro di noi. Ma per far questo è importante avere “occhi di lucerna”, come dicevano gli antichi, cioè avere occhi pieni di luce e quindi prestare attenzione alle cose intorno a noi. L’Attenzione ci riporta nel presente, ci aiuta a fare spazio dentro di noi, tra i nostri pensieri e i nostri malumori. Grazie all’Attenzione può capitare di guardare l’ennesima serie di luci natalizie e stupirci nell’attribuire loro un valore nuovo.
Al di là quindi del significato storico che la cristianità attribuisce al Natale, questa festa continua a coinvolgerci probabilmente perché ha radici profonde, che evocano dimensioni quasi dimenticate e parla un linguaggio di cui abbiamo smarrito l’alfabeto, ma di cui la nostra anima conserva ancora qualche eco.
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