Mamma lavora, fa la bidella nella scuola elementare del paese, mentre mio padre è a cassa integrazione da più di un anno, per tale motivo è un po’ depresso si sente inutile.
Luca (mio marito) lavora per la Sony, spesso si assenta per intere settimane quando non c’è, io e la bambina, andiamo a dormire dai miei hanno tenuto la mia vecchia camera.
Luca, sarebbe stato via una quindicina di giorni la Sony partecipava a un evento che si teneva a Londra presi le mie cose e mi trasferì dai miei. A papà la nostra presenza faceva molto piacere specialmente quella della bimba si rigenerava usciva dal suo torpore. Anche a mamma non dispiaceva avermi in casa gliela mettevo in ordine preparavo da mangiare e, andavo a fare la spesa.
Quando uscivo Carolina (mia figlia) la lasciavo a papà. Durante una delle mie uscite incontrai Alvaro il mio vecchio prof di matematica. Quando frequentavo l’istituto “Angelo B.”, di lui ero innamorata gli avevo scritto diverse lettere e dedicato delle poesie, ma non successe mai niente lui non mi vedeva neanche. Ora sembrava più bello con gli anni era migliorato, dava l’impressione di un attore americano di quelli strafichi. Andammo a prendere un caffè. Rievocammo il passato. Ora mi vergognavo un po’ delle lettere scritte delle poesie trovavo tutto così puerile, ma a quei tempi ci credevo per me Alvaro era un mito difficile da raggiungere.
«Non devi vergognarti anche tu mi piacevi tanto». Quella confessione mi colse di sorpresa.
«Non ci credo lei non mi ha mai vista non contavo niente».
«Ti sbagli. Mi piacevi un casino, ma avevo paura eri minorenne ed io sposato con una donna che se solo immaginava che la tradivo, mi avrebbe rovinato. Ero innamorato di te Sarah». Arrossì. Non stava mentendo sembra sincero.
«Adesso cosa fa insegna ancora?».
«No, sono in pensione, do qualche lezione privata. Con mia moglie ci siamo lasciati anni fa i miei
due figli si sono laureati uno è medico l’altro notaio vivo non distante da qui nella palazzina dei “girasoli”». La palazzina dei girasoli non era distante dalla casa dei miei genitori la chiamavano così perché una volta al suo posto c’era una coltivazione di girasoli. Gli raccontai di me. Dissi che ero sposata e che avevo una bimba e tutto il resto.
«Beh, se sei sola, potremmo andare a cena che ne dici?».
«Mi dispiace, ma non posso ho la bambina che cosa dico ai miei?».
«La lasci a loro e dici che vai fuori con una tua vecchia compagna di scuola mi faresti felice davvero». Mi prese la mano, era teso emozionato.
«Non lo so mi piacerebbe ma… ».
«Dai Sarah fammi contento ti do il mio numero di cellulare mi chiami verso le 19,00 per confermare e ci vediamo qui alle 20,00». Dettò il numero che memorizzai sul mio telefonino. Ci salutammo. Ero combattuta la voglia di andare era tanta per uscire dalla monotonia da molto tempo non andavo a cena fuori da prima che rimanessi incinta.
Dissi un sacco di “fregnacce” a mamma e papà che non trovarono nulla da ridire la bimba l’avrebbero tenuta volentieri. Telefonai ad Alvaro per la conferma.
Arrivai all’appuntamento puntuale lui, era già lì nella sua Rover blu notte. Prese la strada delle colline. Ero vista tutta di nero dalle scarpe, calze e abito. Il nero mi piace lo trovo seducente misterioso anche l’intimo era nero di pizzo. Il ristorante si chiamava: «Cupido». Vi erano diverse coppie i tavoli in prevalenza erano apparecchiati per due. Menù a base di pesce. Antipasti; frutti di mare cotti e crudi come primo presi gnocchi alla polpa di granchio lui, risotto alla pescatore. Poi, branzino al cartoccio con cozze e vongole e orata alla piastra. Tutto ottimo accompagnato da un vinello bianco delizioso ne bevvi tanto. Stavo bene mi sentivo rilassata dopo tempo avevo ripreso il mio ruolo di donna accantonato dopo la maternità. Quando tornammo in macchina, trovai naturale che mi baciasse in bocca risposi al bacio.
«Preferisci andare in albergo o andiamo a casa mia». Disse mettendomi la mano sul ginocchio.
«Qui c’è molta campagna trova un posto preferisco farlo in macchina». Avviò il motore. La sua mano frugava tra le cosce mentre la mia si posò sulla patta dei calzoni, aveva il cazzo duro. Lo fissai in faccia. Anche se era ben curato, non poteva nascondere i suoi anni come minimo Alvaro aveva sessant’anni tra me e lui quarant’anni di differenza più di quella che c’era tra me e mio padre. Arrestò l’auto in un anfratto. Ci baciammo nuovamente il bocca le lingue frullavano. Mi aprì il vestito e tirò fuori le piccole tette gli stavano nel palmo della mano le strinse. Eppure una volta sposata mi ero ripromessa di non tradire il mio sposo cosa che aveva fatto spesso da fidanzati e invece dopo nemmeno due anni di matrimonio, ero lì con uno che poteva essere mio nonno che troia che ero. Tentava di inserire la mano dall’alto nei collant per arrivare alla fica fradicia non ci riusciva le calze erano troppo strette.
«Aspetta le tolgo». Le tolsi e con loro levai anche le mutandine. “Gola profonda” così mi chiamava un compagno di liceo pensava che anch’io come quella del film, avessi il clitoride nella gola perché quando glielo succhiavo, gemevo di piacere. Mi è sempre piaciuto accompagnare un pompino con un sottofondo di mugoli e gemiti proprio come se stessi per venire. Alvaro, apprezzava molto il mio modo di sbocchinare mi spostava i capelli per vedere meglio il suo cazzo entrare e uscire dalla mia bocca. Un cazzo dignitoso per un uomo di quell’età teso al massimo è duro come un sasso subodorai che facesse uso del “VIAGRA”. I miei sospetti ebbero conferma quando il prof sborrò, il suo cazzo non perse consistenza rimase tosto e teso come prima da brava bocchinara ingoiai fino all’ultima goccia, ora speravo che si dedicasse a me da troppo tempo non avevo un orgasmo. L’ultima volta che avevo goduto, era stato prima che scoprissi di essere incinta più di un anno e mezzo fa. Luca, quando seppe della gravidanza, smise di penetrarmi diceva che gli faceva impressione mettermelo dentro però a lui quasi tutte le sere lo soddisfano oralmente non gli faceva impressione lo sperma che ingoiavo e che mi procurava dei forti bruciori di stomaco.
Pensavo che una volta partorita, avremmo ripreso a fare sesso come dio comanda invece no, si mise il capoparto, il ciclo, e le sue assenze a complicare la situazione. È assurdo a vent’anni, stare tanto tempo senza fare l’amore nessuno mi avrebbe creduta se lo raccontavo. Disse di scendere dalla macchina. Mi fece piegare in avanti con il busto steso sul cofano. Sollevò il vestito istintivamente allargai le gambe. Iniziò a lappare partendo dall’orifizio anale. Dio santo avevo quasi dimenticato la bellezza di una lingua che ti lecca culo e fica. Solo un uomo di una certa età te la lappa con tanta maestria spesso i giovani ignorano questo atto sublime. Alvaro leccava divinamente.
Ebbi degli orgasmi multipli che mi scombussolarono del tutto, urlai il mio piacere le gambe iniziarono a tremare. Non mi diede tregua me lo mise dentro.
«Zoccola, puttana, troia, vacca, megera». Non so per quale motivo iniziò a offendermi la cosa non mi dispiaceva anzi mi faceva infoiare di più.
«Non prendo niente non venirmi dentro». Gli dissi tra gemiti e sospiri. Lo sfilò.
«Che cosa fai no!!». Con un colpo secco mi entrò nell’ano avvertì un forte bruciore.
L’ultima cosa che avevo preso nel culo, era stato un pezzo di un manico da scopa me l’aveva infilato Fausto un ragazzo che conobbi prima di sposarmi a mio marito non l’avevo mai dato. Mi schiaffeggiava le natiche e dava dei pizzicotti.
«Ti piace il mio cazzo eh? Lo volevi fin da ragazzina troia dovevo incularti allora non perdere tutto questo tempo ohhh sì sì… vengooo…». Mi sborrò dentro. Tornai a casa verso l’una di notte con un gran bruciore al culo Alvaro non lo vidi più e nemmeno lo cercai.
N.B. La posta della rubrica " Sotto Voce " viene pubblicata integralmente, senza correzioni ne tagli, cestinando solo le storie ritenute troppo forti o di contenuto volgare.
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