Pare che l’uso del termine (che indica una qualità di carne in scatola utilizzata come rancio presso i militari USA) sia da ricollegarsi ad un film dei Monty Python, dove la parola, ripetuta in continuazione da un gruppo di vichinghi presenti in un fast food, diventava un vero e proprio tormentone, al pari dell’e-mail spazzatura che continua ad informarci che è uscito un nuovo modello di viagra.
Dunque, nell’accezione comune, la parola sta ad intende la spazzatura che periodicamente ci riempie la casella di posta elettronica, costringendoci a ripulirla periodicamente per evitare che la intasi del tutto impedendoci di ricevere le comunicazioni che effettivamente aspettiamo.
Ma chi ha interesse a fare spamming? Lo spamming ha prevalentemente una natura commerciale. Inviare sistematicamente e-mail per reclamizzare un nuovo prodotto, informare sull’apertura di un nuovo esercizio commerciale, proporre offerte lancio per determinati prodotti non costa praticamente nulla. Esistono software in grado di rastrellare indirizzi sul web prelevandoli da siti, forum, newsgroup ed immagazzinarli in banche dati private per poi utilizzarli ai fini dell’invio di materiale pubblicitario.
Ma quanto costa ad un azienda inviare migliaia di e-mail? Praticamente nulla.
Provate a pensare quanto dovrebbero spendere le imprese se volessero promuoversi con i sistemi promozionali. Realizzare i volantini, stamparli, spedirli per posta o recapitarli tramite incaricati del volantinaggio sono attività che invece hanno un costo non indifferente. Con lo spamming, invece, è sufficiente un semplice click e migliaia di persone sanno che il negozio all’angolo vende software con il 50 % di sconto.
Inoltre lo spamming, rispetto alle tecniche pubblicitare tradizionali, riesce ad essere maggiormente capillare: è molto più semplice rilevare un indirizzo e-mail su internet che un indirizzo civico nel mondo reale, specialmente perché molti soggetti non compaiono in elenchi pubblici accessibili a chiunque come gli elenchi telefonici o le pagine gialle.
Lo spamming è l’avamposto di una nuova forma di commercializzazione di beni e servizio chiamata “direct marketing”, ovvero, come ci suggerisce la traduzione maccheronica della locuzione, una forma di commercio diretto verso l’utente, piuttosto che orientato in forma seriale e con strumenti di comunicazione generalizzati.
Inoltre le statistiche dimostrano che qualche utente lo si riesce comunque ad interessare attraverso il direct marketing, ed è facile che un soggetto curioso si tramuti in cliente. Eppoi a fronte di investimenti praticamente irrisori, questa forma di pubblicità garantisce ritorni rimunerativi.
Ma tutto questo è lecito? Una adeguata risposta a questa domanda necessita di alcune precisazioni. Se ci riferiamo all’ordinamento dell’Unione europea la risposta è sicuramente no. O meglio, non è possibile fare spamming senza il consenso del soggetto destinatario del messaggio pubblicitario. Lo ha previsto espressamente la direttiva 58/2002/CE, poi recepita in Italia nel testo unico sulla privacy, Decreto Legislativo n. 196/2003.
Per quanto riguarda il diritto degli USA invece si tratta di una prassi perfettamente legale.
La differenza fra questi due sistemi giuridici nasce da una diversa visione della nozione di consenso dell’interessato. Mentre in Europa si ritiene, a fronte di un qualsiasi trattamento di dati personali, il consenso dell’interessato debba essere acquisito preventivamente, dopo averlo informato adeguatamente sulle modalità e sulle finalità del trattamento, in America è possibile trattare i dati personali degli interessati finchè questi non abbiano manifestato un loro esplicito dissenso.
Il sistema europeo è detto dell’OPT-In, ovvero bisogna esprimere un’opzione precisa per essere inseriti all’interno di un’operazione di trattamento, ed è incentrato sull’infromativa e sul rilascio del consenso.
Ogni operatore commerciale dovrebbe preventivamente informare l’interessato che ha intenzione di effettuare un trattamento con i suoi dati, successivamente una volta ottenuto il consenso potrà procedere al trattamento. L’acquisizione del consenso e la conservazione documentale dell’avvenuta informativa e della relativa manifestazione di volontà dell’interessato diventa fondamentale in caso di contenzioso.
In America vige invece il principio dell’OTP-out, ovvero occorre esprimere un’opzione precisa per essere esclusi dal trattamento, il quale si presume pienamente autorizzato sino al momento in cui viene manifestata l’opzione negativa. Esistono delle liste di cittadini, (dette black lists o anche Robinson’s lists) dove chiunque può iscriversi al fine di rendere noto a tutti gli operatori commerciali la propria indisponibilità a vedersi oggetto di trattamento.
Ogni operatore, prima di procedere al trattamento dei dati degli utenti, è tenuto a controllare all’interno delle black list se sta per utilizzare di dati relativi alle e-mail di cittadini che abbiano già preventivamente manifestato il loro dissenso al trattamento.
Perché questa lunga premessa fra il diritto americano e quello europeo?
Perché lo spamming, nella maggior parte dei casi proviene, dagli States inibendo così l’uso dei rimedi previsti dalla direttiva 58/2002/CE agli utenti del vecchio continente. Se invece lo spammer è europeo, o meglio tricolore, allora il discorso si fa più semplice.
Come si può fare per non ricevere più spamming? Il primo passo è individuare chi sta effettuando lo spamming: se si tratta di un mittente USA converrà lasciar perdere. Se invece il mittente è italiano bisognerà reperire un suo recapito fisico (ad esempio visitando il sito internet cui solitamente rimanda l’e-mail dello spammer) e comunicargli la propria opposizione al trattamento dei propri dati di posta elettronica, e la cancellazione dei propri dati dagli archivi del soggetto che sta effettuando il trattamento, come prevedono gli articoli 7 e 8 del D. Lgs. n. 196/2003.
Se a fronte dell’avvenuta comunicazione dell’opposizione e della richiesta di cancellazione lo spammer continua ad inviarci e-mail non richieste potremo agire presso il Garante per la protezione dei dati personali che potrà ordinargli di cancellare i nostri dati personali dai suoi archivi elettronici o cartacei.
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