Il T.S.O. può essere effettuato esclusivamente in condizioni di degenza ospedaliera nei reparti di servizio psichiatrico ed e attuabile solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se tali interventi non vengono accettati dal malato o se non vi siano condizioni e circostanze che consentano terapie o misure sanitarie idonee extra ospedaliere (art. 34).
Sono attualmente disciplinati dalla Legge istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale (Legge 23.12.1978 n. 833) agli art. 33, 34 e 35: questi ultimi sono parte delle disposizioni già previste con una legge autonoma (n. 180 del 13.5. 1978) relativa agli accertamenti e trattamenti sanitari volontari ed obbligatori dei malati di mente.
All'art. 33 della Legge citata si precisa che "gli accertamenti e i trattamenti sanitari sono di norma volontari" e pertanto, poiché la Costituzione (art. 32) sancisce che "nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizioni di legge", ne consegue che il T.S.O. Trattamento Sanitario Obbligatorio vada eseguito nel rispetto della dignità della persona e dei diritti civili e politici, compreso, per quanto possibile, il diritto della libera scelta del medico e del luogo di cura.
Il T.S.O. può essere effettuato esclusivamente in condizioni di degenza ospedaliera nei reparti di servizio psichiatrico ed e attuabile solo se esistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici, se tali interventi non vengono accettati dal malato o se non vi siano condizioni e circostanze che consentano terapie o misure sanitarie idonee extra ospedaliere (art. 34).
Il provvedimento con il quale il Sindaco, nella sua qualità di autorità sanitaria, su proposta motivata di un medico, debitamente convalidata da parte di un medico dell'Unità Sanitaria Locale, dispone il T.S.O., deve essere notificato entro 48 ore dal ricovero, tramite Messo Comunale, al Giudice Tutelare nella cui circoscrizione rientra il Comune.
Il Giudice Tutelare entro le successive 48 ore provvede con un decreto motivato a convalidare o non convalidare il provvedimento e a darne comunicazione al Sindaco il quale, in caso di mancata convalida, dispone la cessazione del T.S.O.
Per la prosecuzione del trattamento oltre il settimo giorno od in caso di ulteriore prolungamento e il Sanitario responsabile del servizio psichiatrico dell'U.S.S.L. che deve formulare, in tempo utile una proposta motivata al Sindaco che ha disposto il ricovero, il quale ne dà comunicazione al Giudice Tutelare con le modalità e gli adempimenti di cui al I e 1I com- ma dell'art. 35 indicando la ulteriore durata presumibile del trattamento stesso.
Qualora ne sussista la necessità, il Giudice Tutelare adotta i provvedimenti urgenti che possono occorrere per conservare e per amministrare il patrimonio dell'infermo. La omissione delle comunicazioni di cui ai vari commi del citato art. 35 (in particolare il 1, IV e V), determina la cessazione degli effetti del provvedimento e configura, salvo che non sussistano gli estremi di un delitto più grave, il reato di omissione di atti d'ufficio.
Chi è sottoposto a T.S.O. o chiunque vi abbia interesse può proporre al Tribunale competente per territorio Acorso contro il provvedimento con- validato dal Giudice Tutelare. Problemi sull' "avviamento" del malato mentale ai luoghi di cura L'Avvocatura Generale dello Stato, su precisa richiesta, ha espresso il parere (3 giugno 1979) che "...omissis ... in materia di trattamento degli infermi di mente la normativa (ex Legge n. 180) ripudia la previgente concezione ispirata ad una presunzione assoluta di pericolosità dell'alienato ...omissis... per cui l'avviamento ...omissis... appare di stretta competenza degli organi dell'amministrazione sanitaria".
Il ridimensionamento della "pericolosità presunta" del malato mentale non esclude che lo stesso possa divenirlo, specificatamente nei casi di T.S.O. per "urgenza o rifiuto" delle cure. L'urgenza, in medicina, implica il concetto di pericolo (per il malato), pericolo che si può ritenere giustamente aggravato in psichiatria con eventuale passaggio dalla auto-aggressività alla eteroaggressività .. Esauriti i tentativi sanitari, quando ad esempio ricorra la necessità della "cattura" del malato che si sottrae all'accompagnamento, dell'entrare nelle abitazioni forzosamente o per vie non comuni (finestre, abbaini dc.), di impegnare eventuale colluttazione, sarà bene che il sanitario ( il medico o l'infermiere) sul territorio stimolino le competenti Autorità perché sollecitamente pongano in atto tutte le misure idonee al raggiungimento di rapida soluzione dei problemi sopra menzionati chiaramente declinando preferibilmente per iscritto e con idonee motivazioni la responsabilità di conseguenze derivanti per omessa od inadeguata attivazione degli interventi resisi di volta in volta necessari e chiaramente non di pertinenza sanitaria.
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Psichiatra: dovere di custodia solo col Tso
La IV Sezione penale della Cassazione, con una sentenza depositata il 12 aprile, ritorna sul tema delicato della responsabilità del medico psichiatra, non oggetto di frequente disamina. La vicenda riguarda il suicidio di un paziente ricoverato in ospedale in regime di trattamento sanitario obbligatorio (Tso): dopo aver già tentato di uccidersi, il malato si era impiccato nel bagno, dove si era recato senza alcun controllo, portando con sé le lenzuola con cui aveva costruito una corda rudimentale. Anche per il fatto che il paziente aveva preannunciato i suoi propositi e persino il tempo della loro attuazione con missive ai familiari (consegnate ai sanitari), il medico responsabile del reparto e quello di turno la notte dell’accadimento erano stati incriminati per omicidio colposo, addebitando loro di aver omesso precise, vincolanti e rigide disposizioni agli infermieri sulla necessità di esercitare un ininterrotto controllo sulla parte offesa.
La Corte d’appello, dopo la sentenza assolutoria di primo grado, affermava la responsabilità dei medici, ritenendo fondato il rimprovero di colpa. Gli imputati, infatti, ben conoscevano la condizione clinica del paziente, sia perché era stato già sottoposto a trattamento terapeutico presso lo stesso servizio, sia perché era nota l’anamnesi recente, con i precedenti tentativi di suicidio, resa palese dagli scritti e dallo stesso testamento, sicché erano consapevoli della ingravescenza della depressione e dell’altissima probabilità di reiterazione di un insano gesto. Aggiungeva il giudice di appello che la particolare gravità della depressione doveva comportare l’eliminazione o comunque il controllo degli strumenti idonei a tentare il suicidio, spiegando che se fossero state impartite prescrizioni puntuali e personalizzate, l’evento lesivo non si sarebbe verificato, perché gli infermieri non solo avrebbero controllato che il paziente non portasse con sé nel bagno oggetti idonei per il gesto autolesivo, ma avrebbero esercitato attenta vigilanza, restando vicino alla porta non chiusa del locale e così percependo rumori incompatibili con quelli della soddisfazione delle esigenze fisiologiche.
La Cassazione ha registrato l’ormai avvenuta prescrizione del reato, ma ha affrontato comunque le doglianze dei sanitari ricorrenti ai fini del concorrente e perdurante aspetto della loro responsabilità civile, enunciando, tra l’altro, quattro principi di diritto (si veda la tabella), la cui valenza oltrepassa lo specifico caso. In particolare, va richiamata l’attenzione sul secondo dei principi indicati, poiché sembra disporsi in modo difforme rispetto a precedente decisione, in analoga materia, della Cassazione (quarta sezione, sentenza n. 10430, depositata il 4 marzo 2004). Allora la Cassazione ritenne corretta l’affermazione della responsabilità di un medico psichiatra per il suicidio di una paziente non sottoposta a Tso e affetta da sindrome depressiva (autrice di vari tentativi di suicidio), postulando l’esistenza di un dovere di protezione della incolumità fisica e naturalmente della vita dell’inferma da parte del sanitario che l’aveva in cura. Questi avrebbe dovuto comunque adottare delle cautele (se non poteva ricorrere alla coercizione, non essendovi regime di Tso) a tutela della paziente, attesa la sua pericolosità autolesiva, essendo comunque portatore di un dovere di custodia e di vigilanza nei suoi confronti.
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