Dopo la mia recensione al libro “Mistico autunno” di Lucia Stendardo (“Dimensione Notizia” dell’ 8.3.2017) ho creduto opportuno, anche se è passato del tempo, un approfondimento di un passo significativo di questa pubblicazione. Mi riferisco alla poesia “A Remo”(p.168), la quale rivela la profondità e la bellezza dell’ anima dell’Autrice. E’ costituita da versi sciolti e liberi attestanti la delicatezza del suo amore per me, che bisogna non solo meglio comprendere nel suo manifestarsi, ma anche cercare di spiegare come sia sorto in lei.
Continuando a parlare dell’innamoramento di Lucia nei miei confronti, da me non ricambiato, mi sono preoccupato di poter correre il rischio di indurre a una certa vanità. Ma poi mi son reso conto che queste preoccupazioni non possono sfiorare la mia anima, ormai tanto temprata nell’umiltà da rimanere distaccata di fronte alle illusorie soddisfazioni della vanagloria. E tutto quello che dirò ancora una volta varrà quindi per gratitudine nei riguardi della Stendardo e anche per farle piacere.
E’ bene subito dire che i versi della poesia “A Remo”, nel romanzo storico “Mistico autunno”, sono da Lucia avvertiti un po’ inadeguati nell’esprimere il grande sentimento che li ha generati. Eppure la sua fantasia e il suo cuore hanno prodotto immagini e riflessioni belle e indimenticabili.
Il testo della lirica in questione è stato già riportato nel mio precedente articolo. Desidero dare anzitutto una esauriente spiegazione di questo testo e poi passare a un commento critico su di esso.
Nei primi quattro versi Lucia immagina di essere in una notte “fredda, cupa, sibilante”, tormentata dal “vento del Tirreno invaso dal ciclone”, molto simile a quelle fredde notti che lei immagina che io viva in montagna ad Agnone e di cui pare amorevolmente preoccuparsi. Poi racconta come ci si è distaccati da poco dal camino, fonte di calore e di discussioni, e lei rimasta sola nella solitudine della casa, immergendosi nella lettura dei versi del libro “Mia madre”, da me scritto con commozione, si sente in sintonia con essi e ritrova completamente se stessa. Dà subito una spiegazione di questo suo profondo ritrovarsi. Comincia col sottolineare come io e lei siamo “uniti da un egual dolore, da un lutto che è voragine nel cuore”, cioè dalla morte delle nostre madri e dalla nostalgia per le cose che non ci sono più. Lucia scopre nel libro “Mia madre”, che sta leggendo, in cui si trovano le immagini della campagna, delle api e del pergolato, il mio romantico amore per Fontesambuco, luogo della mia tradizione familiare materna, oggi non più vivo come in passato, mentre la sorgente del dolore e della nostalgia per lei è Grumo, luogo della dipartita di sua madre.
Ma la tristezza di questi ricordi non sono per Lucia un abbattimento morale o un atteggiamento nichilista senza speranza. Per lei la sofferenza e le memorie non si estinguono, ma servono per continuare a vivere e a crescere nella Fede. A riprova di ciò la Stendardo ricorda come io abbia chiesto a mia madre Anna Moauro, nel libro a lei da me dedicato, “il dolce dono” d’inondare il mio essere dell’aroma del suo spirito, caratterizzato dal sacrificio per il bene e dalla fede in Dio, perché, seguendo il suo esempio, potessi anch’io con i miei comportamenti diffondere intorno a me i semi dell’amore. Lucia mi ricorda ancora che mia madre dal Cielo fa subito sua la mia richiesta e cerca immediatamente di accontentarmi. Ella continua anche dopo la morte ad aiutarmi: “a piene mani ti inonda d’ amore” e coinvolge anche lei Lucia che mi vuol bene. Pare a questo punto che la Stendardo voglia dirmi come io non mi renda conto che il suo amore per me è voluto anche da mia madre, che cerca tramite lei ancora di aiutarmi. E così la mia genitrice mi “dà prova della sua esistenza/oltre la morte e del suo potere”.
Per la bellezza di questo rapporto tra me e mia madre, per la “traditio” sentimentale che ci lega, per il clima poetico, morale e religioso in cui le appaiono avvolti madre e figlio, per tutto questo Lucia vede in me ”un uomo santo/ che spande luce nei giorni più bui”. E ciò la rende certa che, anche se non avrà per ora il mio amore, ci sarà un domani in cui, “carichi d’anni e di esperienze affini,/ ci incontreremo sul giusto cammino”. Il suo amore è così grande che non si arrende mai e continua a sperare sino alla fine.
E immagina che quando saremo “carichi d’anni” ci incontreremo in un ideale eremo “pregno di infinito”, dove si è alla ricerca di Dio. E contemplando la “zolla verde nata su chi muore”, cioè la speranza eterna che ci proviene dall’esempio di persone religiose e care ormai defunte, e il cielo che sembra parlarci di bene nella misteriosità e nello splendore “delle notti stellate, dei tramonti”, le nostre anime diventeranno di fronte a tanta fede e a tanta bellezza gioiose e nell’estasi destinate a far parte “dell’Eterno vero”, cioè del Regno di Dio.
La parte finale della poesia è certamente molto bella.
E’ bene precisare che la Stendardo fondamentalmente ha scritto in prosa, come dimostrano i diversi libri della sua autobiografia. Tuttavia ha prodotto anche poesie, come quelle del suo libro “Verrò con l’alba”, pubblicato a Caserta nel 1982 e molti anni dopo aggiornato.
Io poi non ho letto tutta la produzione della Stendardo, per cui le mie considerazioni si baseranno solo sulla prima edizione del suo libro “Verrò con l’Alba” e sulla poesia “A Remo” presente nel volume “Mistico Autunno”.
Leggendo le liriche del libro “Verrò con l’alba” si intuisce chiaramente che sono caratterizzate da un ricerca continua dell’ amore, che è così ben illustrato dalla scultura “Amore e psiche” di Antonio Canova, che si trova in copertina. Bruno Graziolo, nella sua introduzione al libro, tiene a precisare che nell’ansia della ricerca di questo valore le poesie stendardiane, che sono certamente belle, perdono qualcosa “sul piano della resa poetica”.
Il paragone tra le poesie raccolte nel libro “Verrò con l’Alba” e quella “A Remo” prodotta durante l’innamoramento di Lucia è chiarificatore di un percorso poetico degno di essere considerato.
Nel libro “Verrò con l’Alba” in Lucia Stendardo c’è una continua ricerca dell’amore o perduto o da trovarsi. Ella cerca il bene nei diversi modi in cui può manifestarsi. Ma mentre nelle poesie di “Verrò con l’alba” la ricerca dell’amore, proprio perché è una ricerca, trova un limite nello sforzo intellettualistico e nella sofferenza per ottenerlo, la poesia “A Remo”, a mio avviso, è priva di questo limite in quanto l’amore è stato conseguito. Essa quindi risplende di una maggiore purezza lirica e di maggiore serena bellezza. Il sentimento che zampilla dall’animo più che attenersi a regole metriche o rimiche induce alla libertà espressiva. In questo componimento si notano una particolare scelta di parole poetiche, la presenza di alcuni spontanei endecasillabi e una serie di assonanze che lo rendono esteticamente attraente.
E’ vero che in questa poesia c’è nel fondo pur sempre la consapevolezza di un amore non corrisposto, ma è altrettanto vero che la speranza di aver conseguito la felicità è così grande da essere in grado di dissolvere ogni preoccupazione. Anche qualsiasi atteggiamento individualistico o autoreferenziale scompare dando valore all’amore. Lo stato felice, dovuto all’innamoramento, rende completamente autentica e gioiosa l’espressione del sentimento, dissolvendo qualsiasi razionale perturbazione nel cielo poetico di Lucia. La scoperta del vero amore tutto coinvolge e rasserena, tutto rende aperto e trasparente, tutto impreziosisce, tutto trasforma in canto estetico.
Ci si chiede quale sarà stata la causa dell’innamoramento della Stendardo. Anche se non è facile sempre comprendere i motivi che generano i sentimenti di una persona, si intuisce chiaramente che, al di là dell’attrazione fisica, soltanto qualcosa che spiritualmente accomuna e ci fa ritrovare può essere sorgente di vera apertura amorosa e di abbandono. Lucia parla infatti di “ritrovarsi” e di “esperienze affini”. Ciò significa che ella ha intuito e visto in me un’anima sorella alla sua, soprattutto sul piano morale e religioso. Pur essendo una donna sensibile e ribelle a fin di bene si è accorta che poteva aver fiducia in me, e abbandonarsi per aver scoperto il suo vero amore. Si è sentita di poter fare e vivere il bene stando al mio fianco, coronando così le sue più profonde aspirazioni.
La bellezza dell’anima di Lucia Stendardo sta quindi nell’aver puntato tutto sull’amore in un’atmosfera ideale e poetica. Il che rende la sua anima splendente di preziosità, di fortezza e di dignità non solo agli occhi degli uomini ma anche a quelli di Dio.
Tengo però ad affermare che l’amore della Stendardo non è stato l’unico grande amore che una donna abbia provato per me. Ce ne è stato un altro, forse ancora più grande, che sarebbe un giorno degno di essere raccontato. Si rimane certamente colpiti di fronte all’intensità, all’ampiezza senza limiti e alla ricchezza di sfumature sentimentali di un’innamorata anima femminile.
Mi fa piacere, a chiusura di questo mio scritto, ricordare brevemente con gratitudine un’altra persona che mi ha dedicato in passato una sua lirica, ma in questo caso non una donna ma un uomo, cioè Sergio Sammartino, che un tempo era mio amico. Sia la poesia di Sergio che quella di Lucia furono composte nel decennio tra il 1980 e il 1990. La breve ma pregnante e induistica lirica del Sammartino mi fu inviata nel 1981 ed è stata quindi scritta prima di quella della Stendardo, che fu elaborata nel 1989 e donatami in quell’anno. Il primo fu spinto a comporla dall’amicizia, la seconda dall’amore.
Questa è la poesia del Sammartino: “ Remo (titolo)./ Che strade correrà/la tua barba gitana/cercando l’ eldorado che ti preme?/ Da dove vieni, spirito d’opale? /Di quali paradisi hai nostalgia?/ Fenice affatturata di poesia,/ smarristi forse un tempo il tuo cammino./ Pirata libero d’eterna gioia,/predatore di pace,/lieto eroe/ senza corazze e armi/ e senza guerra./ Fin dove avrai coraggio di inoltrarti/ cercando invano onnipotente amore/ nei profanati agoni/della Terra?”.
Una poesia questa a suo tempo apprezzata anche da Lucia.
Non può che farmi piacere constatare, con animo riconoscente, che io sia stato oggetto da parte di Lucia Stendardo e di Sergio Sammartino di tanta considerazione da diventare sorgente della loro ispirazione poetica.
Remo de Ciocchis
|