A cura del Dr. Matteo Monami, Direttore Unit Piede Diabetico, SODc Diabetologia, DAI Medico Geriatrico AOU Careggi, Firenze -- I pazienti con diabete di tipo 2 avanzato raramente hanno una sola malattia cronica da gestire. Alcune comorbidità (malattie associate) come l’insufficienza renale o epatica e l’insufficienza cardiaca congestizia riducono fortemente il numero di farmaci da poter utilizzare per tenere sotto controllo i valori della glicemia in modo efficace e sicuro. La conseguenza è che spesso si deve ricorrere a terapie che possono aumentare il rischio di ipoglicemia o di accumulo di peso (sulfoniluree o insulina), o che aumentano notevolmente il carico del trattamento (insulina) o il suo costo (farmaci nuovi). In questi pazienti, l’uso della metformina si associa a un miglioramento della prognosi, confermata da una recente ampia metanalisi, utilizzando un farmaco efficace, sicuro, economico e di minor carico sulla routine quotidiana.
Gli obiettivi della metanalisi
Secondo una recente metanalisi pubblicata su Annals of Internal Medicine a febbraio 2017, l’uso di metformina si associa a un miglioramento della prognosi
nei pazienti con diabete di tipo 2 e malattia renale cronica, insufficienza cardiaca congestizia o insufficienza epatica cronica.
Gli Autori hanno analizzato i dati pubblicati su Medline (principale banca dati mondiale di interesse biomedico) dal 1994 al 2016 e su Cochrane Library, Embase e International Pharmaceutical Abstracts (altre banche dati di notevole prestigio scientifico che contengono diversi tipi di studi di efficacia, indipendenti e di alta qualità) dal 1994 al 2015. I ricercatori si sono concentrati soprattutto sulla relazione fra l’uso di metformina nei pazienti con diabete di tipo 2 e nefropatia cronica (CKD) da moderata a grave, insufficienza cardiaca congestizia (CHF) o malattia epatica cronica (CLD) con insufficienza epatica , valutando i vari schemi di somministrazione della metformina (anche in confronto con regimi che non la prevedevano) e tutte le cause di mortalità, gli eventi avversi cardiovascolari maggiori e altri fattori di prognosi, considerati di interesse.
Al termine della selezione gli studi identificati sono stati sottoposti a metanalisi.
L’obiettivo della metanalisi è quello di fornire un risultato univoco e conclusivo sull’efficacia terapeutica di un trattamento farmacologico. Così come uno studio clinico (clinical trial) studia un gruppo di pazienti (campione) allo stesso modo la metanalisi studia un gruppo di studi clinici, utilizzando un protocollo che raccolga gli aspetti comuni dei singoli protocolli. Varie tecniche e test statistici permettono poi di elaborare i risultati numerici dei singoli studi per ricavare un parametro finale cumulativo (il cosiddetto “overall odds ratio”).
I risultati della metanalisi
Al termine della selezione gli studi identificati sono stati 17, sottoposti a metanalisi.
Gli Autori hanno evidenziato che l’uso di metformina era correlato in modo diretto e significativo a una riduzione del tasso di mortalità per tutte le cause nei pazienti con diabete di tipo 2 che avevano associate le tre patologie prese in esame: insufficienza renale cronica, insufficienza cardiaca congestizia o insufficienza epatica cronica.
Gli Autori hanno concluso la metanalisi sottolineando che l’utilizzo di metformina era anche correlato a un minor numero di riammissioni ospedaliere per episodi acuti di scompenso cardiaco. Concordano nell’affermare che secondo i dati osservati “….l’uso della metformina nei pazienti con nefropatia cronica moderata, insufficienza cardiaca congestizia o malattia epatica cronica con insufficienza epatica si associa a evidenti miglioramenti della prognosi, confermando la correttezza delle recenti modifiche nell’etichettatura del farmaco da parte della FDA americana e dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA).
In un editoriale di commento alla metanalisi, Kasia Lipska della Yale School of Medicine di New Haven, Connecticut, ha sottolineato l’utilità di risultati come quelli emersi dalla metanalisi su una molecola come la metformina, utilizzata da anni in migliaia di pazienti e che continua a dimostrarsi efficace, ben tollerata ma molto più sostenibile economicamente, per un’ampia popolazione, rispetto alle nuove molecole lanciate in questi ultimi anni.
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