Una nuova tecnologia messa a punto dal Consiglio Nazionale delle Ricerche, scopre le cellule cancerose e le brucia.
Si chiama nanomedicina la nuova frontiera della medicina che cerca di utilizzare nella pratica clinica, ovvero già sul paziente, le nuove tecnologie che operano nel piccolissimo, nel «nano», ovvero nell’ambito della miliardesima parte del metro, in pratica fra le dimensioni di una molecola e quelle di una proteina. Nanoparticelle capaci di potenziare le caratteristiche di un materiale ma anche di arrivare ovunque, fino alla cellula e penetrarne i segreti. Oltre alla tante applicazioni industriali già in essere (basta ricordare i nanotubi di carbonio più resistenti dell’acciaio), si sta testando la loro utilità nella lotta ai tumori.
In questa direzione un risultato importante è quanto realizzato da una ricerca dell’Istituto di Fisica applicata del Consiglio Nazionale delle Ricerche e dell’università di Firenzeutilizzando nanoparticelle d’oro capaci di individuare le cellule tumorali all’interno dell’organismo. In che modo? Grazie a una caratteristica delle cellule cancerose, presente in tutti i tumori, ovvero la loro «sete» d’ossigeno cui reagiscono dotandosi sulla membrana di un enzima, l’anidrasi carbonica 9. Ed è proprio questo enzima (una proteina di superficie) a fare da impronta per le nanoparticelle d’oro a caccia di tumori. Ecco fatto: queste vi si attraccano permettendo di identificare il bersaglio tumorale su cui lavorare.
Lavorare, ma in che modo? Lo spiega Fulvio Ratto, ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche e autore dello studio cofinanziato dalla Regione Toscana e appena pubblicato su Advanced Functional Materials: «Le nanoparticelle d’oro sono dotate di capacità estremamente interessanti grazie alla loro versatilità: attivate da un laser, a seconda del tipo di luce con cui le stimoliamo, possono generare ultrasuoni o calore. Nel primo caso l’applicazione sarà di tipo diagnostico, nel secondo caso, che si verifica quando vengono sottoposte a un fascio di luce continua, si può attuare un’ablazione fototermica, la distruzione delle cellule tumorali con il calore».
La ricerca è di grande interesse, ma come altri lavori in questo settore, sono ancora lontane le applicazioni sull’uomo: quanto evidenziato finora da Ratto è frutto di studi su cellule coltivate in laboratorio e sarà necessaria una lunga trafila di test prima di arrivare alla sperimentazione su piccoli animali. Il possibile trasferimento sul paziente è lontano, ma forse non lontanissimo se si riescono a trovare le risorse per proseguire in questo campo. Altri gruppi di ricerca in Italia lavorano sulle nanoparticelle d’oro nei tumori, ad esempio l’Istituto Nazionale dei tumori di Milano in collaborazione con l’Istituto di tecnologia di Lecce, ma sono tredici i paesi europei riuniti nella European Technology Platform of Nanomedicine che stanno portando avanti questo tipo di ricerche nell’ambito dei tumori. E l’unione, si sa, fa la forza.
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