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Inviato da Adriana Addy il 19/11/2023 9:00:00 (1707 letture)

gif76La psicologia dello sviluppo ha descritto due aspetti che definiscono la qualità della funzione genitoriale ideale: affetto e controllo. Tale funzione genitoriale, fornisce sufficiente sostegno emotivo e affettivo per promuovere l’autonomia e permettere di raggiungere la separazione.




La teoria di J. Bowlby, esamina dettagliatamente l’importanza del legame e dell’attaccamento ”sicuro” ai genitori mentre la loro incapacità di fornire tale sicurezza e sostegno può avere delle ripercussioni per uno sviluppo autonomo ed equilibrato, aprendo un varco a reazioni psicopatologiche. 


donna-meravigliata


Alcuni Autori hanno utilizzato la teoria bowlbyana dell’attaccamento proponendo una teoria sullo sviluppo della personalità; l’ipotesi fondante presentata dagli autori è che l’unica motivazione del comportamento degli esseri viventi sia la costruzione di mappe cognitive sempre migliori di se stessi e dell’ambiente. Il tipo di attaccamento sviluppato da un bambino di un anno verso la figura di riferimento, determina il modello operativo interno , lo stile cognitivo, il modo di rapportarsi agli altri e verso se stessi determina cioè la personalità.


Con un attaccamento sicuro,caratterizzato da una figura di attaccamento percepita come protettrice e accessibile all’interno di una relazione regolata in modo appropriato, il piccolo impara a fidarsi dell’ambiente esterno ed a sviluppare uno stile cognitivo di ricerca attiva ed lo sviluppo di una personalità sana ed equilibrata.
L’esperienza di un attaccamento insicuro-evitante caratterizzato da una figura di riferimento inaccessibile, all’interno di una relazione che non consente un effettivo scambio comunicativo, abitua il piccolo a non contare su di sé ed a sviluppare uno stile cognitivo di immunizzazione.


L’esperienza di un attaccamento insicuro-ambivalente che nasce nell’ambito di una relazione caotica e irregolare in cui la figura di riferimento è percepita come imprevedibile, determina uno stile cognitivo di evitamento. Per quanto riguarda l’attaccamento disorganizzato-disorientato, nasce da una relazione regolata in modo inappropriato poiché la figura di riferimento è percepita come pericolosa, dalla quale bisogna difendersi con la fuga, attaccando o congelandosi, determinando uno stile cognitivo ostile.



Ovviamente nell’arco dello sviluppo un attaccamento insicuro può evolvere in sicuro se si sperimentano ripetute esperienze di accettazione e di altre figure di riferimento che si prendono cura adeguatamente del bambino. Gli autori sostengono che esiste una corrispondenza tra attaccamento insicuro-ambivalente e lo stile di conoscenza di “evitamento” propri dei disturbi di personalità dipendente, in cui la strategia di evitamento è utilizzata per evitare il contrasto con gli altri; ossessivo compulsivo, dove la strategia di evitamento è al servizio del perfezionismo; evitante in cui l’altro è considerato un importante validatore della propria identità e ciò lo trasforma in un giudice da cui fuggire.
L’attaccamento insicuro-evitante e lo stile di conoscenza “d’immunizzazione” sono propri del disturbo di personalità paranoico in cui le previsioni sulla cattiveria del mondo restano immuni da qualsiasi confutazione; schizoide dove la rabbia e la paura dei paranoici sono sostituite dalla totale indifferenza verso gli altri e le loro idee; schizotipico in cui all’indifferenza per le relazioni sociali già presente nel disturbo schizoide, si aggiunge la bizzarria nel disturbo del pensiero e la creazione di una realtà separata e privata.


gif28L’attaccamento disorganizzato e lo stile di conoscenza “ostilità” sono propri anche dei disturbi di personalità: antisociale caratterizzato dalla manipolazione degli altri e dalla mancanza di rimorso, l’altro è percepito come il mezzo per soddisfare i propri bisogni; borderline in cui il senso di identità è estremamente fragile ed inconsistente ed è presente un disperato bisogno degli altri per ritrovarsi e riconoscersi, fino al punto che quando l’altro si nega si trasforma in un nemico da annientare.
Secondo O. Kernberg gli studi sull’ambiente familiare sono concordi nel suggerire che il paziente con DPB (disturbo di personalità borderline), spesso subisce una precoce separazione ovvero una perdita della figura genitoriale oltre ad avere altri gravi problemi familiari come conflitti e abusi fisico e sessuale. La ricerca suggerisce che in molti dei campioni di pazienti borderline la relazione tra bambino e genitore è fortemente disturbata.

Altri studi hanno suggerito che il fallimento del legame e della relazione affettiva con i genitori potrebbe spiegare la sindrome borderline. Questi pazienti sperimentano, nella propria infanzia, l’incapacità dei loro genitori di rispondere ai loro bisogni, vale a dire l’inesistenza dell’ambiente holding.
La solitudine del paziente con DPB viene correlata con l’assenza di buoni introietti genitoriali capaci di mitigare le emozioni che causano la disforia e l’instabilità affettiva, tipiche della sindrome.

Si può ipotizzare che gli affetti negativi che si sviluppano negli individui con tale disturbo non sono attenuati da un “genitore buono”interno sfuggano al controllo e travolgano il paziente. La mancanza di risposte adeguate ai bisogni provoca una caduta dell’autostima che impedisce a tali pazienti di ricercare oggetti che sostituiscano le figure genitoriali mancanti.
Di fatto, le relazioni interpersonali del soggetto borderline sono caratterizzate da una ipersensibilità al rifiuto dovuta ad una mancanza di risposte genitoriali adeguate. Il ripetuto fallimento delle relazioni interpersonali provoca un aumento degli stati di disforia affettiva che può raggiungere livelli intollerabili.


L’uso di sostanze stupefacenti può essere letto come un “agito” che ha la finalità di controllare la disforia, così come il comportamento di automutilazione può essere agito per alleviare il doloroso senso di depersonalizzazione fino ad arrivare a veri e propri tentativi suicidari, come strategia estrema messa in atto per fuggire da un’intensa sofferenza psichica.
D’altra parte pazienti con patologie completamente diverse possono presentare storie simili ma solo una percentuale di pazienti in cui è presente un legame genitoriale deficitario sviluppa il DPB.

E’ stata ipotizzata l‘esistenza di una vulnerabilità costituzionale associata ad un’esperienza infantile di deprivazione affettiva e contenitiva.
Otto Kernberg (10975), attraverso una combinazione di approcci forniti dalla psicologia dell’Io e della teoria delle relazioni oggettuali, coniò il termine organizzazione di personalità borderline, per circoscrivere un gruppo di pazienti gravi che mostravano una certa debolezza dell’Io, l’uso di meccanismi difensivi primitivi e relazioni oggettuali problematiche.
Comprensione psicodinamica del disturbo di personalità borderline
Secondo la concezione psicodinamica G. Adler (1985), il DPB è basata sul modello del deficit o dell’insufficienza. Una funzione materna inconsistente può essere la causa dell’incapacità del paziente borderline, di sviluppare un oggetto interno “contenente-confortante”. 

L’autore, molto influenzato dalla psicologia del sé di Kohut, considera tale paziente come un essere alla ricerca di funzioni oggetto-sé provenienti dalle figure esterne a causa dell’assenza di introietti nutritivi. L’autore utilizza il concetto di “memoria evocativa”, costrutto evolutivo proposto da Selma Fraiberg (1969), che in contrapposizione alla tesi della Mahler, notò che al diciottesimo mese di età, il bambino normale è in grado di costruirsi un’immagine interna della figura materna anche in assenza fisica della stessa.
Negli individui con DPB, tale capacità sarebbe notevolmente attenuata, dunque poco disponibile ad essere richiamata in situazioni di stress, l’assenza di un oggetto interno contenente-confortante può spiegare il senso di vuoto (che Adler chiama panico da annichilimento), le tendenze depressive e la dipendenza adesiva che caratterizzano l’esistenza di tali individui.
Kernberg (1975), ha collegato la causa e lo sviluppo del DPB con lo schema evolutivo della Mahler. Egli ipotizza il superamento della fase simbiotica, che permette di distinguere il Sé dall’oggetto, per fissarsi alla terza fase, quella di individuazione-separazione, soprattutto alla sottofase del riavvicinamento, che avverrebbe tra il 16° ed il 30° mese di vita.




Il bambino, durante tale esperienza, vivrebbe con angoscia la preoccupazione che la madre possa scomparire avendo sperimentato la possibilità di esplorare l’ambiente circostante e il distacco fisico dalla madre. La fissazione alla sottofase del riavvicinamento, secondo Kernberg, sarebbe in relazione ad un disturbo nella disponibilità emozionale della madre, durante questo periodo critico del bambino, dovuto o a un eccesso di aggressività costituzionale nel bambino o a problematiche materne legate alla funzione genitoriale o probabilmente alla combinazione di entrambi i fattori.
L’autore rileva che la fissazione a questa fase sia causata dalla mancanza della “costanza d’oggetto” , che impedisce di integrare aspetti buoni e cattivi come parti dello stesso oggetto, la madre. Tali immagini contraddittorie vengono tenute separate attraverso il meccanismo della scissione, che mantiene costantemente in oscillazione aspetti di Sé e della madre completamente buoni o completamente cattivi.
Il risultato finale, di tale fissazione evolutiva, è una condizione caratterizzata da introietti negativi, vale a dire rappresentazioni del Sé e dell’oggetto negative interiorizzate. Mentre Adler sottolinea una funzione materna inconsistente, quindi un deficit nella memoria evocativa, Kernberg propone un modello basato sul conflitto, che attribuisce importanza a fattori costituzionali di eccessiva aggressività orale nei pazienti borderline.
La vasta gamma di sintomi che caratterizza tale disturbo di personalità, può comprendere: un’ansia liberamente fluttuante, sintomi ossessivo-compulsivi, fobie multiple, reazioni dissociative, preoccupazioni ipocondriache, sintomi di conversione, spunti paranoici, sessualità perversa polimorfa e abuso di sostanze.

Kernberg trovò che la mera descrizione sintomatologica fosse riduttiva e che una migliore diagnosi potesse essere fondata attraverso un’analisi strutturale che rilevava quattro caratteristiche chiave:
Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io
Vale a dire l’incapacità di posticipare la scarica degli impulsi e di modulare affetti come l’ansia, con la conseguente fatica a sublimare le pulsioni e ad utilizzare la propria coscienza per finalizzare il comportamento.




Scivolamento verso processi di pensiero primario
La pressione di affetti intensi, possono indurre questi individui ad una regressione di un pensiero simil-psicotico, soprattutto nella capacità di valutare adeguatamente la realtà.
Operazioni difensive specifiche
La principale operazione difensiva è la scissione, che Kernberg descrive come processo attivo, che permette di separare introietti e affetti contraddittori. L’idealizzazione primitiva, il diniego, l’onnipotenza, la svalutazione e l’identificazione proiettiva, in cui le rappresentazioni di sé e dell’oggetto sono scisse e proiettate negli altri, nel tentativo di controllarli.
Relazione d’oggetto patologiche interiorizzate
L’impossibilità di considerare negli altri l’insieme di qualità positive e negative (scissione), di integrare gli aspetti libidici e aggressivi da poter apprezzare le esperienze interne degli altri.
In realtà, autori come Kernberg, Adler e Rinsley , considerano la condizione borderline come un continuum che unisce i vari livelli di gravità del DBP con il disturbo narcisistico collocato nel punto più in alto di tale continuum.
Laddove Kernberg pone l’accento sull’aggressività innata del bambino, Rinsley rileva l’inadeguatezza del comportamento materno, con la comunicazione di rimanere dipendenti dalla figura materna come unica condizione per continuare ad avere un legame materno, questa potente comunicazione materna provoca, secondo l’autore, una “depressione abbandonica”, ogni volta che la prospettiva della separazione o autonomia si presenta al bambino, soprattutto nella sottofase mahleriana del riavvicinamento.
Mentre molte teorie psicodinamiche hanno posto l’accento sui fallimenti materni, nell’eziologia e nella patogenesi della patologia borderline, ulteriori studi, hanno rilevato che entrambi i genitori, nei ricordi dei pazienti, hanno creato delle difficoltà durante la loro infanzia.
Emerge una sorta di controllo anaffettivo, perciò entrambi i genitori falliscono nel fornire supporto emozionale e ostacolano la separazione dei loro figli.




Dunque, le esperienze negative con un genitore, non potendo essere mitigate dall’esperienze positiva con l’altro genitore, assumono una valenza deprivante. In alcuni sottogruppi di pazienti borderline più gravi, è presente una storia di abuso sessuale, fisico e verbale che si riscontra anche nel disturbo post traumatico da stress.
Una parte degli individui con questo disturbo di personalità, ad un livello meno invalidante, riesce a mantenere un sufficiente adattamento sociale, ma l’ipotesi che appare più sensata, riguardo alla causa del DPB, dovrà necessariamente considerare una multivarianza di aspetti che portano ad un risultato comune e a diversi fattori eziologici.
Psicoterapia individuale
La psicoterapia individuale, dei pazienti con disturbo borderline di personalità, si pone degli obiettivi da raggiungere alquanto ambiziosi. Fondamentale è il rafforzamento dell’Io, che consente al paziente di riuscire a tollerare meglio l’ansia e di ottenere un maggiore controllo sugli impulsi. L’integrazione delle rappresentazioni scisse del sé e dell’oggetto, per avere una visione ed una esperienza di se stessi e degli altri compatta, coerente e ben salda.
Il raggiungimento di un introietto contenente-confortante, che permette l’evocazione di un oggetto interno stabile confortante che rende la separazione dalle figure significative più tollerabile. Il risultato dell’integrazione delle rappresentazioni scisse del Sé e dell’oggetto, è il raggiungimento della costanza d’oggetto, strettamente correlata alla memoria evocativa di Adler, per mezzo della quale il paziente può tollerare la solitudine senza disorganizzarsi in uno stato di panico.




E’ proprio il cambiamento degli oggetti interni, di questi pazienti, il focus della psicoterapia, che permette di dare sollievo alla loro esistenza, spesso vissuta come spopolata e completamente priva di qualunque figura di riferimento interiorizzata. Kernberg pone l’accento sull’analisi del transfert, come aspetto fondamentale dell’approccio psicoterapeutico con tali pazienti, l’analisi della riattualizzazione, nel hic et nunc, delle passate relazioni oggettuali interiorizzate.
Nello stesso tempo, durante questo processo, va considerata l’analisi delle strutture che compongono l’Io, il Super-io e l’Es, e i confini intra ed interstrutturali. Kernberg, però, non intende con relazioni oggettuali interiorizzate il riflesso delle relazioni oggettuali passate, ma un misto tra interiorizzazioni realistiche e fantasticate, molto spesso distorte a causa della spinta di derivati pulsionale.
D’altra parte tra i clinici ci può essere disaccordo sull’orientamento della psicoterapia, se meglio quella orientata sul polo espressivo o supportivo ma non vi è alcun dubbio sulla difficoltà di gestione di questi pazienti che sono portati ad interrompere la psicoterapia e ad indurre la rottura del setting, ad agire in modo autodistruttivo, a rivolgere richieste insolite o trattamenti speciali, a tormentare il terapeuta con incessanti telefonate.
Soprattutto la fragilità dell’alleanza terapeutica, senza la quale è impossibile seguire il paziente che rapidamente può sviluppare un intenso transfert negativo, che mobilita difese primitive ed interferisce con lo sviluppo di una stabile alleanza.
Alcuni clinici, propongono di affrontare, precocemente, queste distorsioni transferali, attraverso l’interpretazione di transfert. Lo scopo, sarebbe quello di aiutare il paziente ad integrare la sua visione buona e cattiva del terapeuta, in una percezione più realistica di oggetto interno.




Altri autori suggeriscono di aspettare con l’interpretazione, fino a quando il paziente non abbia sviluppato una fiducia nel lavoro e nella persona del terapeuta. L’approccio misto, supportivo-espressivo può essere utilizzato con buoni risultati ma non esiste un orientamento esclusivo più valido di un altro.
I pazienti con DPB, con una maggiore forza dell’Io ed una migliore mentalità psicologica, saranno in grado di utilizzare una psicoterapia ad orientamento analitico rispetto a quelli che presentano una struttura dell’Io più fragile e che avranno bisogno di un trattamento più supportivo.
Alcuni studi condotti su tali pazienti, hanno dimostrato che un numero rilevante d’interruzioni di trattamento psicoterapeutico è causato da rabbia provocata da interpretazioni eccessivamente precoci. Comprendere e riconoscere la storia del paziente, permette al terapeuta di entrare in empatia capire la funzione adattiva delle strategie difensive messe in atto in modo massiccio.
In questo incontro, in cui fanno esperienza entrambi i partner della diade terapeutica, spesso può circolare un tumulto emotivo che difficilmente può essere evitato, applicando una tecnica terapeutica ben precisa, visto che con i pazienti borderline è necessario poter modificare gli interventi che diventeranno specifici per quel determinato paziente.
Waldinger (1987), ha proposto alcuni principi tecnici utili per impostare una discussione sugli interventi con i pazienti borderline:
Definire una stabile cornice terapeutica. In contrapposizione alla caoticità che caratterizza la vita di questi pazienti, è necessario stabilire un set ben strutturato, chiaro ed esplicitato punto per punto.
Evitare un atteggiamento terapeutico passivo. Che può essere vissuto dal paziente come mero disinteresse se non un attacco vero e proprio.
Contenere la rabbia del paziente. La difficoltà nel mantenere un atteggiamento terapeutico di fronte all’attacco verbale, al disprezzo e all’astio, che può indurre il terapeuta ad agire interpretazioni difensive o caustiche attivate dal processo dell’identificazione proiettiva.




La capacità del terapeuta, deve essere di empatizzare con il bisogno del paziente di scindere le rappresentazioni buone e cattive del Sé e dell’oggetto e di proiettare le parti cattive fuori di sé per controllarle e tenerle a distanza perché non distruggano le rappresentazioni buone. Restituire la cattiveria, servirebbe solo ad aumentare il sentimento del paziente di sentirsi attaccato.
Affrontare i comportamenti autodistruttivi. Il pensiero magico che spesso accompagna i comportamenti autodistruttivi, e che può avere il significato di ridurre una tensione interna, deve essere riportato al suo significato più reale e concreto, dal terapeuta, che deve porre in evidenza le conseguenze delle proprie azioni sul piano di realtà.
Stabilire una connessione tra sentimenti e azione. L’agito è l’espressione intensa della pressione che gli stati affettivi provocano, senza che ci sia alcuna consapevolezza della relazione di causalità tra sentimento ed azione. L’indagine del terapeuta, avrà lo scopo di indagare quali stati affettivi provocano i comportamenti agiti, restituendo un senso ed una completezza all’azione, che apparentemente non sembra avere nessun contenuto scatenante.
Mantenere il focus degli interventi sul qui e ora.




Il transfert, sembra essere il luogo d’azione, nella psicoterapia del paziente borderline, il quale, quando tenta di integrare le rappresentazioni buone e cattive del terapeuta, le angosce depressive create dal tentativo di sintesi possono produrre un’intensa paura di danneggiare il terapeuta. Se il terapeuta sarà percepito, dal paziente, come poco empatico e comprensivo, potrà rendere l’angoscia più intensa, tipica della posizione schizoparanoide, e far vivere la figura del terapeuta come malvagia e sadica. Ciò deve essere evitato attraverso il rilevamento tempestivo di tali accadimenti, per evitare un transfert emotivamente involutivo.
Monitorare i sentimenti controtransferali. Fondamentale, nel trattamento del paziente borderline, è l’attenzione al controtransfert. Contenere le parti proiettate del paziente e riflettere sulla natura di queste proiezioni, sarà d’aiuto al terapeuta per diagnosticare il mondo interno del paziente.




Per il trattamento dei pazienti con organizzazione di personalità borderline, Kernberg, propone una teoria del trattamento psicodinamico, che deriva dalla tecnica psicoanalitica, modificata per creare una strategia generale applicabile ai tipici disturbi dei pazienti borderline.
L’obiettivo principale, sembra essere la diagnosi e la risoluzione psicoterapeutica della sindrome di diffusione di identità, e la risoluzione delle operazioni primitive di difesa, e la trasformazione delle loro relazioni oggettuali da parziali in relazioni oggettuali totali, proprie di individui dal funzionamento più avanzato, nevrotici e normali.
Le relazioni oggettuali primitive, sono costituite da rappresentazioni parziali del sé e dell’oggetto, che entrano in relazione nel contesto affettivo primitivo interamente buono e interamente cattivo, e sono parziali proprio perché le rappresentazioni del sé e dell’oggetto sono state scisse in una componente idealizzata ed una persecutoria, diversamente dalla normale integrazione di rappresentazioni buone e cattive di sé e degli altri.




Tali relazioni emergono durante il trattamento sotto forma di transfert primitivi caratterizzati dall’attivazione di queste rappresentazioni del sé e dell’oggetto e dei corrispondenti stati affettivi.
La strategia psicoterapeutica nel trattamento psicodinamico del paziente borderline, si svolge in alcuni punti fondamentali:
a) La diagnosi del tipo di relazione primitiva d’oggetto parziale, emersa nel transfert e l’analisi interpretativa della struttura della fantasia inconscia dominante che corrisponde a questa particolare attivazione del transfert. Ad esempio, il terapeuta può suggerire al paziente che il loro rapporto in quel momento somiglia a quello tra un carceriere sadico e una vittima terrorizzata.
b) Identificare le rappresentazioni di sé e dell’oggetto di questo particolare transfert primitivo, e le attribuzioni oscillanti, buono-cattivo, che il paziente dà a queste rappresentazioni.
c) Il terzo punto fondamentale di quest’intervento interpretativo, definirà il legame tra la particolare relazione d’oggetto attivata nel transfert e quella completamente opposta attivata in altri momenti, che costituiscono la controparte scissa e idealizzata di questa relazione d’oggetto persecutoria.
Un’integrazione conseguita nel transfert, di relazioni oggettuali primitive dissociate o scisse, in completamente cattive o buone, comprende l’integrazione, oltre che delle corrispondenti rappresentazioni di sé e dell’oggetto anche degli affetti primitivi.
L’integrazione d’affetti intensi e polarizzati, porta nel tempo ad una modulazione degli affetti stessi e ad un aumento della capacità di controllarli, oltre che ad una maggiore capacità d’empatia con sé e con gli altri, ad una maturazione di tutte le relazione oggettuali.
Al contrario che nella psicoanalisi classica, dove l’interpretazione è centrata sui significati inconsci, sia nel qui e ora sia nel là e allora, del passato inconscio, nella psicoterapia psicodinamica dei pazienti borderline, le interpretazioni psicodinamiche del passato inconscio sono riservate a stadi relativamente avanzati nel trattamento, dopo che l’integrazione avrà trasformato i transfert primitivi, in transfert evolutivi, più tipici del funzionamento nevrotico e legati maggiormente ad esperienze reali del passato.
L’analisi del transfert, viene modificata in ogni seduta, e può essere guidata dall’attenzione del terapeuta per gli obiettivi a lungo termine della cura, per ogni tipo di paziente e per i conflitti in corso dominanti al di fuori delle sedute.




La neutralità tecnica, può subire delle limitazioni, vale a dire l’equidistanza del terapeuta dalle forze in conflitto nella mente del paziente
La psicoterapia psicodinamica del paziente borderline, si differenzia anche dalla psicoterapia di sostegno, derivata dalla teoria psicoanalitica. Di fatto, il terapeuta si astiene da interventi tecnici, come il supporto emotivo e cognitivo, la guida ed il consiglio, l’intervento ambientale diretto e da qualunque altra manovra che ridurrebbe la neutralità.
In ogni seduta è apprezzabile valutare la capacità del paziente di distinguere la fantasia dalla realtà, portando avanti l’interpretazione dei significati inconsci solo dopo la conferma di una visione della realtà condivisa dal paziente e dal terapeuta.
Le fantasie del paziente, sul significato degli interventi interpretativi del terapeuta, richiedono un chiarimento ed un’interpretazione. Importante, è anche, individuare i vantaggi secondari di gravi sintomi e comportamenti; mentre l’analisi dei conflitti sessuali inconsci, deve comprendere l’analisi della contaminazione tra sessualità ed aggressività, per aiutare il paziente a liberare il suo comportamento sessuale dal controllo degli impulsi aggressivi.
Interpretare le difese primitive, durante il loro manifestarsi nel processo terapeutico, mira a rafforzare l’esame di realtà e le funzioni globali dell’Io, diversamente a quello che si pensava nel passato, le difese primitive non rafforzano l’Io fragile del paziente borderline, ma sono la causa primaria della debolezza cronica dell’Io.




Le tendenze all’agito, dei pazienti borderline, possono minare il trattamento a causa di possibili tentativi, non depressivi, di suicidio, l’abuso di sostanze stupefacenti, l’automutilazione e altri comportamenti autodistruttivi e aggressivi.
E’ per questo fondamentale, valutare se sussistono situazioni d’emergenza che richiedono un intervento immediato, e che hanno, ovviamente, la priorità su tutto il resto. La suicidarietà è un aspetto tipico della sindrome borderline. La sfida clinica, rappresenterebbe proprio la gestione della suicidarietà cronica, considerata una delle principali ragioni che hanno spinto molti clinici e ricercatori a scrivere molto su tale disturbo.
I clinici che decidono di trattare con pazienti suicidari, si espongono ad un precoce burn-out. Le minacce ad abbandonare il trattamento, possono essere esplicite o implicite ed assumono priorità su tutte le altre istanze, eccetto le minacce imminenti alla vita del paziente o a quella di altre persone, tali minacce possono diventare operative se non fronteggiate tempestivamente.
Fondamentale, sembra essere lo stabilire un contratto iniziale, in cui il terapeuta dovrebbe avvertire il paziente del suo desiderio di abbandonare la terapia, prevenendo la comprensione di ciò che potrebbe accadere. Durante la processualità del trattamento, è importante che il terapeuta presti la massima attenzione ai segni di stanchezza del paziente e fronteggiarli prontamente.




 





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(Sat, 07-Feb-2015)
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Cuffaro condannato, la senten...
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(Thu, 30-Aug-2012)
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