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Salute e Benessere : Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, Dipartimento di Salute Mentale
Inviato da Anna Pupa il 17/2/2024 9:20:00 (1946 letture)

Tigre -Le immagini dicono sempre molto di più delle parole che sollecitano per interpretarle. In vista di questo intervento su un argomento di cui, nel momento in cui si crede di sapere tutto, non si sa in effetti nulla si è sempre dei debuttanti quando si deve parlare d’amore come quando ci si innamora (l’amore ci trascende e ci spiazza, ci vanifica come individui)-, mi sono tornate in mente le immagini della sequenza onirica che Ingmar Bergman ha posto come introduzione ad uno dei suoi film più belli e psicopatologicamente significativi, “Persona



Al termine di un incubo, popolato da immagini di morte e di cadaveri, un bambino cerca con il palmo della mano di toccare il volto di una donna (lagifmani madre?) proiettato su uno schermo. Un gesto concreto, rivolto a sentire o, forse, a risentire le sensazioni legate ad un rappora perché nessuna immagine ha corpo. Si potrebbe discutere a lungo su chi rappresenti questo enorme volto di donna, sullo schermo su cui il bambino fruga lentamente, sacralmente, in effetti si tratta solo dei volti delle due attrici protagoniste che qui si succedono insensibilmente, mentre nel film, per esprimere la natura simmetrica e fusionale del loro rapporto, Bergman li farà sovrapporre. Che si tratti della madre, o della madre in quanto prima femmina cui si rapporta il piccolo d’uomo, o di ogni donna adulta che rinvia all’immagine della madre, cambia poco.

Più interessante è la sensazione che trasmette il gesto di questo bambino, la matrice angosciosa della sua ricerca che cerca di dare corpo ad un’immagine esterna perché dentro di sto vivificante, un gesto ripetuto e protratto, che va a vuoto, perché cerca di afferrare qualcosa che non c’è, che è assente, non tanto perché l’imago materna è sepolta dalla rimozione, mé ha solo immagini morte. Rivedendo alcuni film in vario modo legati al tema delle perversioni sessuali e soprattutto delle relazioni perverse, sono stato colpito dal fatto che in ciascuno di essi, negli amori impossibili, negli amori fusionali e nelle storie di sesso perverso che raccontano, c’è una mano di un adulto che cerca, allo stesso modo, con la stessa necessità e con la stessa disperazione, sul e nel corpo del partner, di concretizzare quell’immagine: vediamo alcuni fotogrammi tratti da “Bitter Moon (Luna di fiele)”, da “Crash”, da “La femme a côte (La signora della porta accanto)”2. Ciò che distingue un amore perverso da uno che non lo è, ammesso che si possa fare questa distinzione, è, forse, proprio il farsi dramma di un’immagine che non ricongiunge ma che separa dall’oggetto d’amore; contro questo diaframma oniroide, che il “normale” riconosce e rispetta, il “perverso” ingaggia una lotta strenua, concreta, ossessiva, coattiva, indifferente ai mezzi ed agli strumenti necessari per infrangerlo o per coltivare l’illusione che ci sia qualcosa al di là di esso, anche a costo di crearlo.

L’infrazione di questo schermo, al di fuori della creatività artistica che consente di ri-simbolizzare l’angoscia del vuoto esistente tra l’assenza e l’allucinazione, implica un diniego delle strutture (spazio, tempo, memoria) che formano le immagini interne; la realtà deve essere percepita nella sua concretezza, sia pure limitatamente alle relazioni erotiche, ed in questa intolleranza simbolico-rappresentativa la perversione, come l’incubo, è vicina al delirio, seppure paradossalmente ne difenda dovendo fare i conti con pezzi di realtà, per adoperarli.



 




 




 





2. Introduzione




 


“(…) l’immaginazione sessuale è illimitata


quanto a prospettiva e a forza metaforica


 e non potrà mai essere davvero repressa (…)


Specialmente adesso che il sesso sta diventando




sempre più un’azione concettuale, intellettualizzata,




 lontana sia dall’affetto che dalla fisiologia,




si devono tenere ben presenti i meriti delle perversioni sessuali.”




 




(Ballard J.G., La mostra delle atrocità)




 




 




 La nozione di “perversione” è tra le più complesse, confuse e controverse dell’intera psico(pato)logia, a causa dell’impossibilità di svincolarsi dal riferimento ad una “norma sessuale” socialmente condizionata e rapidamente variabile, cioè, in ultima analisi, di sottrarsi al campo doxico (26). Il termine si colloca in una perenne ambiguità tra deviazione e sovversione della norma, tra incapacità di adeguarvisi e volontà di spostarne i limiti consensualmente ammessi, tra malattia e fenomeno sociale e di costume innovatore, infine tra comportamenti disgiunti o contigui alla normalità affettiva ed erotica. Alle influenze sociali si sovrappongono in una continua circolarità quelle culturali: la psicoanalisi ha monopolizzato la discussione scientifica nell’area dei comportamenti perversi trasformandone lo statuto da vizio, devianza, indice di degenerazione o di costituzione morbosa –paradigmi dominanti alla fine del secolo diciannovesimo (42, 21, 61, 44) - psicologizzabili nei limiti del concetto di Binet di “accident agissant sur un sujet predisposèe” (15), in una visione che valorizza in ogni comportamento perverso la componente fantasmatica e il significato di difesa. Nel corso della sua evoluzione, la psicoanalisi è tuttavia progressivamente slittata da una concezione delle manovre perverse come difese dai derivati istintuali ad una che le riferisce al rapporto con l’oggetto del desiderio (56, 31) ed ha spostato il suo assetto epistemologico dalla metabiologia alla metapiscologia al campo relazionale transfert-controtransferale, nel quale il termine viene usato in modo sovente idiosincrasico e senza alcun riferimento alla vita sessuale (22). Nello stesso tempo l’area dei comportamenti perversi (o parafilici, se si vuole - 5) ha guadagnato una progressiva visibilità sui diversi canali mass mediali, creando un suo diffuso immaginario e un variegato mercato (dai fumetti, alle videocassette, a Internet, ai club privèe) al quale è del tutto estranea ogni considerazione di ordine psico(pato)logica. I comportamenti perversi possono essere semplicemente considerati fenomeni antropologici legati al fatto che in determinati periodi storico-culturali “certi modi di pervenire all’orgasmo (o di tentare di pervenirvi)” siano più o meno eccezionali, divenendo in questo caso “ripugnanti” per coloro che fruiscono di modalità più diffuse e abituali (44). Banali excursus psicostorici ed un semplice sguardo alla letteratura e l’arte libertina dei secoli scorsi (36) conferisce alla visione psicopatologica delle perversioni una dimensione del tutto relativa, storicamente e socialmente determinata.




 Scorrendo le liste delle pubblicazioni più recenti su una qualsiasi Medline si coglie una tendenza a recuperare alla ricerca clinico-biologica i comportamenti sessuali anomali e devianti  (38,50); che tuttavia, se non sono sottoposti al vaglio di rigorosi criteri euristici e definitori, danno l’impressione di rappresentare un mondo variegato, eterogeneo e un po’ folkloristico, non molto diverso dalla casistica di Krafft Ebing (42), nella quale, ora come allora, è difficile cogliere il legame con i fenomeni psicopatologici (vedi anche 44). In effetti il rilievo clinico delle parafilie è relativamente raro nella pratica di ogni psichiatra (a partire da Freud, che, forse per questo, privilegiò le fantasie perverse –34,35)3; se esse non si associano ad altri disturbi psicopatologici, ha luogo soprattutto per mandato sociale o forense (9), mentre se co-occorrono con altri disturbi  sono per lo più transitorie, poco esplorabili e decifrabili.




Con tutte queste riserve e nella convinzione che forse il termine perversione non dovrebbe essere usato affatto, come del resto già fanno i principali manuali diagnostici internazionali (5,69) e, in ogni caso, dovrebbe comunque esserlo in modo connotativo e mai denotativo, l’immenso lavoro degli psicopatologi della vita sessuale, e soprattutto degli psicoanalisti lungo tutto il ventesimo secolo ha consentito di costruire una sensibilità particolare nello psichiatra che con notevole frequenza si trova ad affrontare dinamiche e modalità relazionali di tipo perverso nel contesto di relazioni erotiche nelle quali possono o meno emergere comportamenti parafilici. Nonostante la consapevolezza di trovarsi in un’epoca epistemologica di passaggio, che mette bene in evidenza non solo l’apodittticità, l’autoreferenzialità, l’inconsistenza, l’oscurità e perfino la bizzarria di gran parte della letteratura psicoanalitica, un secolo di psicoanalisi non può essere cancellato in pochi anni. Su un tema come quello delle relazioni perverse, in assenza di modelli esplicativi realmente nuovi, appare possibile solo introdurre slittamenti discreti di significato rispetto alla matrice psicoanalitica a favore di una riformulazione linguistica e concettuale improntata alla chiarezza e all’aderenza alla clinica (che costituiscono i doveri di ogni psicopatologia).




Sia nell’ottica psicoanalitica che in quella clinico-nosografica, l’amore perverso del titolo che mi è stato assegnato non esiste; esistono infatti comportamenti sessualmente perversi (“parafilie” o “disturbi delle preferenze sessuali”, con tutte le difficoltà definitorie relative –24), che dell’amore non hanno la caratteristica essenziale, cioè quella di essere una relazione, essendo piuttosto condotte anonime e stereotipe a-relazionali se non antirelazionali (31). Esiste invece, e forse sempre di più, in relazione al dis-ordinamento e alla liberalizzazione garantista della morale sessuale ed all’omologazione dei comportamenti sessuali maschili e femminili, la perversificazione dell’amore, vale a dire la distorsione ed il sovvertimento della sua naturalezza legati all’amalgamarsi con le situazioni erotiche di istanze relazionali e modalità difensive arcaiche e regressive.




 




 





3.  Due esempi d’Autore




 




 Per motivi che meritano attenzione e stimolano le interpretazioni, il cinema d’Autore abbonda di riferimenti alle pratiche e alle dinamiche perverse: sugli schermi sono state portate le più diverse variazioni sul tema amore/morte o, se si vuole Eros/Thanathos, non soltanto come “ingredienti” di genere, ma come vicende narrative o apologhi di notevole fascino per lo sguardo accorto di uno psicopatologo (29)4. In questa sede ho scelto due esempi d’Autore che illustrano con grande chiarezza il senso psicopatologico del feticismo e del sadomasochismo. Il primo esempio è tratto da “Belle de Jour” (17) uno dei film scandalosi di Luis Buñuel (un Autore nel cui cinema amour fou, feticismo e sadomasochismo sono ubiquitari e straordinariamente verosimili tanto da rappresentare un materiale di studio di enorme interesse per chi voglia occuparsi di perversioni e relazioni perverse –24); il secondo è costituito dal melodramma “Bitter Moon-Luna di fiele” di Roman Polanski (57), un Autore anch’esso che più volte si è cimentato sui temi del sadomasochismo, del feticismo e della psicosi (26) e che in questo suo film mette in scena compiutamente la trasformazione di un innamoramento in una relazione sadomasochistica simmetrica e irreversibile




 




a) Bella di giorno: il “sole nero” del Duca necrofilo




 




 L’avvenente moglie di un medico, Séverine (Catherine Deneuve), seguendo una sua disposizione masochistica ed espiativa che probabilmente le deriva dall’aver subito una seduzione infantile da parte di un operaio, si prostituisce volontariamente in una casa di appuntamenti parigina ogni pomeriggio. Diviene rapidamente la prediletta di numerosi clienti perversi che sono attratti più dalla sua aria impacciata e remissiva che dalla sua conturbante bellezza. In questo contesto accetta l'invito mercenario di un misterioso e raffinato Duca (Georges Marchal), che afferma, con un’espressione di fissa e cupa melanconia, "nulla mi allieta come il sole d'autunno, il sole nero", una frase a cui Severine fa eco, come condividendola, balbettando "il sole nero". Séverine gli serve per una messa in scena necrofila in sostituzione della moglie morta (forse uccisa da lui).




 Il Duca la conduce nella sua residenza sontuosa sulla carrozza che simbolizza in tutto il film il percorso autoterapeutico delle reveries masochistiche della donna. “Uomo d'altri tempi, in cui era ancora vivo il culto dei morti”, la fa spogliare dal maggiordomo e la fa stendere, immobile, nuda, con indosso una corona  e un velo nero, in una cassa da morto5.




Il rituale necrofilo appare un po’ confuso nella versione ufficiale del film in cui l’impianto complessivo della scena risente palesemente dei tagli della censura; l’episodio comprendeva infatti originariamente una messa funebre nella cappella di famiglia su cui troneggiava l’immagine di un Cristo di Grünewald (18).




Non è possibile interrompere un perverso nel bel mezzo della sua pantomima (in precedenza anche un ginecologo masochista si era già arrabbiato quando dovette interrompere il suo rituale per l’imperizia di Séverine). Così il Duca, che afferma di aver posseduto una gatta di nome "Bella di notte", si arrabbia quando il maggiordomo chiede se debba “introdurre i gatti” nel bel mezzo rituale necrofilo, quando, Sèverine stesa nella bara, era già immerso nelle sue recriminazioni rituali:




 "Ti ho portato qualche asfodélo, ti piacevano tanto. Come sei bella! La tua pelle è ancora più bianca, e i tuoi capelli ancora più morbidi. Mia povera cara, che visino freddo, ricordi che appena ieri abbiamo giuocato insieme, abbiamo riso e abbiamo cantato, e adesso sei qui e non dici niente, immobile...spero tu mi abbia perdonato, non è colpa mia, ti amavo troppo...".




L’allestimento ha comunque buon fine, il Duca può giungere al suo soddisfacimento facendo tremare la bara sotto cui finisce a masturbarsi mentre continua il suo dialogo con la “morta”: “adesso i tuoi occhi non si apriranno più, le tue membra sono rigide e i vermi ti rodono il cuore, e questo odore di fiori morti, questo odore ubriacante di fiori morti...i vermi ti rodono il cuore..!”.




Il rituale necrofilo funziona quindi in due tempi: una prima parte che riattiva il ricordo nostalgico di un oggetto d’amore morto, negandone la morte mediante la sostituzione con un feticcio, la seconda che erotizza quegli aspetti ripugnanti (la decomposizione, la putrefazione della carne) legati alla morte, in una sorta di libera aggressione al morto, nella persona, si potrebbe dire, del suo feticcio; questo secondo aspetto mette bene in evidenza il legame esistente, sia pure in una polarità antinomica, tra perversioni ed ossessioni, essendo i temi della morte, degli addobbi funebri, della putrefazione della materia tipici contenuti delle fobie ossessive mentre l’attrazione per lo sporco, il decomposto e l’amorfo una delle sorgenti di eccitamento più tipicamente perverse (27,28) 6.




 Per la sua perfetta collusione masochistica e feticistica col rituale, Severine ne è affascinata e vorrebbe poterlo ripetere, ma il maggiordomo la liquida bruscamente dicendo che il Duca vuole che le ragazze reclutate vengano sempre sostituite. Perché possa funzionare il rituale deve escludere l’instaurarsi di una relazione continuativa; l’oggetto d’amore non può nè deve essere sostituito, deve mantenere il suo statuto feticistico perchè solo così può assolvere la funzione di alleviare concretamente il dolore depressivo garantendo l’illusione della negazione di un lutto e facendo da bersaglio per la rabbiosa aggressività del sopravvissuto.




 


b) Bitter Moon (Luna di fiele), o il destino degli universi fusionali

 




“Luna di fiele”, film tratto dal notevole romanzo di Pascal Bruckner “Lunes de fiel” (16) nel quale l’elemento “perverso” è maggiormente dettagliato e sottolineato (26), mette invece in scena una situazione apparentemente reale e normale, quella dell’innamoramento di uno scrittore (Oscar, Peter Coyote) per una giovane ballerina (Emanuelle Seigner) “uno sconcertante miscuglio di maturità sessuale e innocenza infantile”. Ben presto nell’esplosiva situazione emotiva ed erotica che si produce, si immettono comportamenti perversi (sadomasochisti, esibizionistici, scatofili) rivolti a mantenere intatta l’apicalità emotivo-affettiva fusionale. Ma è proprio nel corso di uno di questi rituali recitati collusivamente che i due si rendono conto dell’insufficienza della funzione rappresentativa (del play acting) a suscitare e evocare l’acme fusionale e improvvisamente piombano nella noia (una perversione non può integrarsi con le dinamiche relazionali, essendole antinomica; la sua iteratività infatti funziona solo in una dimensione di distacco che evita ogni coinvolgimento affettivo). A rivitalizzare la relazione sono allora agiti rabbiosi e aggressivi (litigi furibondi, sentimenti di gelosia e aggressioni delle possibili rivali da parte di Mimì, falsi abbandoni, il ricorso da parte di Oscar a rapporti mercenari esterni alla coppia etc.). Imprigionati dalla impossibilità di separarsi e, nello stesso tempo, dalla necessità di mantenere in vita una relazione agonizzante rispetto alle loro esigenze emotive, i due possono solo instaurare dinamiche sadomasochistiche nelle quali Oscar fa la parte del sadico e Mimì quella della vittima umile e compiacente (“posso sopportare tutto pur di stare con te...ti prego, non mandarmi via, anche se non mi ami!”). Ma anche questa soluzione non è stabile perché comporta un progressivo incremento del sadismo di Oscar che giunge a far abortire e liberarsi brutalmente della ragazza abbandonandola su un aereo diretto ai Carabi. Oscar potrà così dedicarsi ad un dongiovannismo sfrenato che ritrova nella quantità di effimeri incontri sessuali un equivalente quantitativo dell’infinità emotiva qualitativa dell’innamoramento per Mimì.




 La ragazza ricomparirà, rovesciando a suo favore la relazione sadomasochistica in virtù dello stato di impotenza in cui Oscar si ritrova a seguito di una lesione midollare che lei gli provoca. Sessualmente impotente, incontinente e totalmente dipendente dalle cure di lei, Oscar, suo malgrado, diviene il partner masochista ideale per ogni sorta di vessazioni che lei gli infierisce: “sei prezioso per me, più prezioso di quanto non lo fossi prima”, gli dice. Ma anche quest’assetto sadomasochistico rovesciato non è stabile perchè nella sua necessità di essere agito (nella componente erotica) al di fuori della coppia, richiede la collusione dei due nel coinvolgere altri partners e, consumata anche questa possibilità, non resta loro altro da fare che mettere in atto un omicidio/suicidio.


 Questa vicenda, così perfetta nella sua doppia simmetria di trasformazione dell’amore in odio e della capacità della perversione di comporre l’uno e l’altro facendoli coesistere, è emblematica di tutti gli amori nati sotto l’egida saturnina della mutua riparazione narcisistica (di un lutto preesistente ed originario); se l’innamoramento, col suo giuoco di identificazioni proiettive ed il suo assetto fusionale, assolve perfettamente questa funzione, molto problematica diviene la gestione della fase di differenziazione e defusione dei partners che, dovendo gestire una ferita narcisistica rabbiosa, necessariamente si immettono nel gioco sadomasochistico di uccisione reciproca rituale, per riscoprirsi, nel sopravviverne, ancora innamorati, cioè fusi; ma questa temporalità rituale e circolare si avvolge su se stessa come una spirale che implode non lasciando più alcun spazio di movimento relazionale imprigionando i due in un baratro claustrofobico intollerabile. La perversificazione sadomasochistica che, paradossalmente, serve a dimostrare che la relazione è ancora viva e vivibile, in realtà finisce per strangolarla. Si giunge così alla inevitabile separazione, poi alla ricongiunzione con una struttura sadomasochistica vendicativamente invertita che, proiettando la coppia in un futuro da trascorrere necessariamente uniti, la richiude in effetti in una spirale destinata nuovamente all’implosione, cosa che nessuno dei due partner, di fatto, può tollerare.




 




 


4. Gli universi perversi nelle teoresi psicoanalitiche




 




Oltre ai già citati problemi di obsolescenza linguistica e concettuale, la precarietà dei modelli naturalistici relativi a disturbi comportamentali il cui significato psicopatologico è continuamente rimodellato dal variare della morale sessuale, com’è avvenuto per l’omosessualità, trattata comunemente come una malattia fino a pochi anni or sono (33,24,22), rende oggi fatico il pur imprescindibile esame della letteratura psicoanalitica. In essa risaltano peraltro contributi che conservano un notevole spessore fenomenologico e teorico (Masud Khan, Bak, Chasseguet Smirgel, Lussier, Bach, Adair) e sono ben evidenziabili alcuni leit motiv che mantengono il loro valore nelle trasformazioni terminologiche succedutesi nel tempo.




 Tentando di realizzare una revisione dotata di una qualche coerenza, gli elementi essenziali alla concettualizzazione psicoanalitica delle perversioni possono essere così  riassunti:




 




a)




“«Chi scrive» diceva il testo del dottor Nathan «è arrivato alla conclusione che il paziente metta in opera una peculiare relazione con gli oggetti, basata su un continuo e irresistibile desiderio di fondersi con l’oggetto stesso in una massa indifferenziata. La psicoanalisi, per quanto non possa giungere a padroneggiare il meccanismo arcaico primario del ‘riavvicinamento’, è però in grado di occuparsi della sovrastruttura nevrotica, guidando il paziente verso la scelta di oggetti stabili e significativi. Nel caso in questione, bisognerebbe tener conto della precedente carriera del paziente (pilota militare), e del ruolo inconscio delle armi termonucleari nel processo di fusione totale e di indifferenziazione di tutta la materia. Ciò contro cui il paziente reagisce è semplicemente la fenomenologia dell’universo, l’esistenza specifica di oggetti ed eventi indipendenti e separati, per quanto banali essi possano apparire. Un cucchiaio, per esempio, lo offende per il solo fatto di esistere, di occupare una porzione di spazio e di tempo (…)









   (J..Ballard, La mostra delle atrocità)




 




 




Il perverso è, fin dalla prima infanzia, incapace di separarsi dai suoi oggetti d’amore: né dal seno, né dalla madre, dal pene, dall’amore super egoico (1), pertanto non può accedere alla problematica edipica oppure, se lo fa, non può elaborarla, finendo per disconoscere le differenze di genere e di generazione (20) e per essere incapace di armonizzare il proprio sviluppo fisico-sessuale con una definita identità di ruolo sessuale adulto. Il carattere arcaico, fusionale, legato alle matrici psicofisiche della relazione d’oggetto, rende il futuro perverso incapace di distaccarsi da tutti gli oggetti parziali e totali, pena una sofferenza atroce e insostenibile; l’altro è sempre una parte di sé conglobata o rispecchiata narcisisticamente, pertanto la sua perdita è sofferta fisicamente come un’amputazione; l’assenza di distanza affettiva (e sovente anche fisica) dai suoi oggetti rende impossibile il lavoro del lutto, spesso sostituito direttamente da gesti suicidiari o da comportamenti equivalenti (ad esempio tossicodipendenze) (29).




Il futuro perverso finisce per crearsi una realtà fittizia in cui non devono esistere né perdite né ansie di separazione o di castrazione, un mondo intermedio tra la soddisfazione allucinatoria e l’accettazione della realtà garantita dall’investimento masturbatorio dell’erotismo con un partmer colludente (1). In questo mondo tutti gli oggetti sono intercambiabili e scarsamente distinguibili l’uno dall’altro e niente è mai definitivamente perduto (6,29). Purtroppo se niente si può davvero mai perdere, niente può essere veramente ottenuto. Il prezzo che il perverso paga per negare la castrazione, la perdita e la morte è quello di rimanere imprigionato in uno stile di vita stereotipo che è condannato a ripetere. Dove non c’è perdita, lutto e rinuncia non c’è possibilità di uscita da un assetto ambivalente (6).




 I testi di Sade, nel loro complesso (“La philosophie dans le boudoir”e “Les cent-vingt journèes du Sodoma” nel modo più completo e teoricamente avvertito –58,59) sono ritenuti paradigmatiche esemplificazioni della strutturazione perversa, della sistematica e totale equiparazione e confusione di ruoli e oggetti erotici, di un universo anale indifferenziato nel quale gli orifizi erogeni si equivalgono, in cui non esiste il divieto dell’incesto, né la distinzione tra il dentro ed il fuori del corpo, tra la vita e la morte (20,6). Il perverso sostituisce un universo pregenitale, fondamentalmente di marca anale, al mondo erotico dei genitori, riduce al caos originario la legge del padre, che proibisce l’ibridazione e la violenza (hybris) e che istituisce la barriera dell’incesto (20, 30).




Tuttavia l’opera di Sade, come le più recenti saghe degli universi perversi resi possibili dall’integrazione ai corpi di ogni sorta di protesi o feticcio tecnologico (di cui gli esempi maggiori sono dati dal cinema di David Cronenberg – 29- e Shinya Tsukamoto -68), non sono che opere di fiction, nelle quale l’indistinzione tra realtà ed immaginario rispetta ancora un ordine simbolico7. Le concretizzazioni di questo mondo, nelle relativamente rare evenienze criminali e, come intuì Pasolini (54), nella logica mortale dei campi di sterminio (“Salò o le centoventi giornate di Sodoma”), traducono un cedimento delle funzioni simboliche (41), ma, nonostante la loro esemplarità e clamorosità, concernono solo occasionalmente l’attività psichiatrica (20, 9).




 




b)


Ero scontento




delle ragazze a pagamento




così ne inventai una meccanica




 




potevo accenderla




potevo spengerla




 




con lei mi sentivo




molto volitivo




ma ora di notte son tanto malinconico




 




era soprattutto di plastica




con una bella pancia elastica




e il tono di voce monotono elettronico




 




aveva una graziosa fessura




che adoperavo con disinvoltura




 




la trattavo con molta indifferenza




per evitare una mia dipendenza




ma ora di notte son tanto malinconico




 




io l’avevo costruita




e io l’avrei demolita




se non rispondeva all’apparecchio telefonico




 




un brutto giorno il cuore le ho spezzato




e il pezzo di ricambio l’ho perduto




 




e ora che lei m’ha detto addio




in pezzi ci sono andato io




e così di notte son tanto malinconico




 




(“54”, in “Mi ami?”, di R.D.Laing)




 




 




Utilizzato come una protesi per aggirare i conflitti preedipici o le angosce di morte e disintegrazione del sé (29), l’oggetto perverso è un feticcio impersonale frapposto tra il desiderio e il partner, ridotto a complice collusivo (48): un feticcio non solo nel senso di un oggetto parziale inanimato (morto) (anche corpo-oggetto o parte del corpo-oggetto) che ne evoca magicamente un altro (un oggetto d’amore totale e vivo) 8 ma anche di oggetto composito (48) (feticcio-oggetto sé –29) nel quale si giustappongono, come in un patchwork, in un collage (48) componenti pregenitali e genitali, parti di sé e degli oggetti di attaccamento (la madre e le sue parti) ed anche modalità relazionali arcaiche9. Grunberger (37) sottolinea la regressione anale implicata nella creazione de feticcio che un inglobamento narcisistico secondario rende idoneo, come gli oggetti sacri e le reliquie, ad essere adorato ed esaltato, ma anche a divenire oggetto e strumento di attacchi aggressivi; più recentemente l’oggetto perverso è stato piuttosto valorizzato nella sua componente orale costituendo, come le sostanze di abuso, una mammella-pene dotata di grande potere calmante, un balocco feticistico in grado di sostituire le dinamiche affettive profonde con “accadimenti sensoriali immediati” (46); è un oggetto che, differenziandosi dal partner in quanto figura reale e presente, può essere tenuto a distanza, usato e manipolato, ma che, una volta perduto o sottratto, rivela il suo potere strutturante il sé del manipolatore.




All’oggetto perverso (il feticcio) sono state attribuite insomma una messe di funzioni diverse. Per Lussier (cit. in 30):  1) trionfa sulla castrazione, salvando il proprio pene e quello della madre; 2) protegge dall’esperienza di perdita depressiva e dell’angoscia di separazione 3) mette al riparo dall’omosessualità; 4) blocca l’accesso alle ferite del corpo; 4) difende dall’aggressività pur esprimendola; 6) nega la disintegrazione fecale affermando l’esistenza dell’oggetto parziale; 7) offre il possesso del seno e il pieno dominio sulla madre; 8) permette di autoilludersi; 9) si struttura come semidelirio per proteggere dal delirio, 10) serve da chiave di volta della struttura della personalità, proteggendo quindi dalla frammentazione.




Per De Martis (30) le funzioni dell’oggetto perverso (oggetto composito) sono: 1) E’ garanzia di stabilità narcisistica; 2) Consente l’adempimento di una ritrovata fusionalità (superando le angosce di castrazione e separazione); 3) E’ altamente idealizzato; 4) E’ altamente sfidante; 5) E’ la testimonianza di una duplice regressione, fallico-narcisistica e sadomasochistica, poiché assicura il piacere di dominare e dell’essere dominato; 6) E’ trasformista (le oche si tramutano in cigni –scriveva Glover); 7) E’ conglutinante, riuscendo a cucire le laceranti scissioni di base.




In generale il perverso utilizza i suoi oggetti per attuare manovre erotizzate difensive, riparative o vendicative rivolte al diniego di parti conflittuali della realtà ed al ribaltamento magico della minaccia della propria identità psichica o sessuale in un trionfo di godimento (63, 19). In ogni caso il feticcio è un oggetto che si presta a essere inventato, usato, abusato, saccheggiato, scartato e idealizzato (48), garantendo l’illusione di autosufficienza rispetto alla dipendenza oggettuale.




 Finchè c’è, l’oggetto perverso rappresenta uno strumento difensivo formidabile, onnipotente, che garantisce la piena integrità narcisistica del sé, ma quando viene meno lascia un vuoto ineliminabile, un vissuto di apatia, di tedio indifferente (48), di “morte psichica (deadness)” (53), insomma la ballardiana “morte degli affetti” (10), oppure diviene un persecutore, quando la frammentazione della funzione simbolica (della pellicola-schermo della rappresentazione) e dei confini dell’Io, aprono la strada a veri e propri scompensi paranoidi (29).




 Implicando un diniego parziale della realtà, l’oggetto perverso può esistere soltanto come illusione, come “quasi delirio che protegge dal delirio” (30, 49, 22, 9); la sua manipolabilità gli assicura una fruibilità, sebbene solo sul piano intermedio della sovrapposizione della rappresentazione alla percezione, cioè del giuoco, o, meglio, del giuoco agito (del playacting -6). Questo statuto, che accomuna oggetto perverso e oggetti della creazione artistica, facendo stabilire parallelismi tra l’una e l’altra attività (49), rende ragione del carattere spesso onirosimile della scena degli agiti perversi, e della confusività masturbatoria in essa tra zone erogene e mete del soddisfacimento. Il passaggio all’atto dei comportamenti sadomasochistici avviene infatti sovente in uno stato di restringimento crepuscolare della coscienza, in una “foschia erotica (erotic haze)” (6).




 Se indubbiamente vi è nella ricombinatoria perversa un necessario potenziale creativo (neosessualità secondo McDougall –49-, per la cui esemplificazione rimandiamo ancora una volta all’opera cinematografica di David Cronenberg -29)10 e può dare vita, nei gruppi che condividono particolari pratiche, a vere e proprie estetiche, mode e filosofie di vita (come nell’ambito dei sadomasochisti consensuali –60,64- e nei cultori del tattoo e del piercing –pratiche che ritualizzano le infrazioni dei confini corporei-, e del bondage –che sostituiscono il legare al legame- etc.), diversi autori (30) hanno sottolineato alcune caratteristiche anticreative della scena perversa, quali la stereotipia, il concretismo e la povertà simbolica, la coattività. E’ abbastanza ovvio che la ricerca e la dipendenza fisica da un oggetto esterno indichi un difetto nel mondo interno, “uno scacco della simbolizzazione”, “un vuoto nell’Io (Moi)” che deve essere “riparato o padroneggiato nella scena sessuale perversa” (49). Anche Balier (9), in un vasto campione criminologico di perversi (soprattutto esibizionisti),  sottolinea la presenza più che di angosce di castrazione di vere e proprie angosce di non esistenza e la necessità di un riconoscimento da parte dell’altro che ha le sue radici in gravi deficit integrativi del sè.




 




c)




"Ciascuno uccide le cose che ama/ 




alcuni uccidono l'amore da giovani/ altri quando sono vecchi/




chi lo strangola con la passione/ e chi con l'oro/




 i più gentili usano il coltello/




 perchè il cadavere si raffreddi prima./




 Ciascuno uccide le cose che ama/




alcuni amano poco altri troppo a lungo/




alcuni lo vendono altri lo comprano/




 alcuni lo fanno piangendo/  altri senza neppure un sospiro/




così ogni uomo uccide le cose che ama/




 eppure nessun uomo muore."




 




Lysiana (Jeanne Moreau)




in "Querelle de Brest" (1982) di Rainer Werner Fassbinder




 




 




-E’ stato ripetutamente sottolineato come la relazione oggettuale del perverso soddisfi l’esigenza di fusionalità e di intimità, di controllo tecnico totipotente, presimbolico, arcaico e fascinatorio. L’oggetto perverso può essere “idoleggiato” (48), vale a dire idolatrato e feticizzato, ma al contempo anche disumanizzato e reso inconsapevole strumento delle proprie esigenze narcisistiche (“tecniche dell’intimità” secondo Masud Khan); non vi è reciprocità nella relazione perversa, ma un coesistere di istanze fusionali e distruttive, cioè un’ambivalenza diversamente modulata, sia nel senso della seduttività (52), che della fascinazione (51) che della collusione (del contratto perverso –41), che rapidamente possono infrangersi per una distruttività impulsiva. Per chi tenti di relazionarsi col perverso non vi è alternativa tra i ruoli di complice o di persecutore, entrambi funzionali a difendere da insopportabili angosce destrutturati oppure da una normalità che, privata di ogni istanza grandiosa e magnificente, non può apparire che “scialba e insipida” (41). La relazione perversa, nel suo precario equilibrio tra narcisismo primario e dipendenza oggettuale, soprattutto quando riesce ad aggirare o liquidare ogni divieto normativo e ogni limitazione, ad essere cioè legittimata da una situazione sociale che minimizza o non riconosce affatto l’ordine edipico, a creare, come l’artista, un universo morale personale (4) di qualità superiore a quello normativo, ha una funzione “baricentrica” rispetto alle due strade impercorribili della psicosi e della normalità (29). Ciò che caratterizza queste relazioni e le connota come perverse (differenziandole da quelle nevrotiche) sono i mezzi e gli artifici che consentono di mettere in atto le fantasie sovrapponendole alla realtà; la strada più facilmente percorribile è quella della feticizzazione dell’altro, oltre a rappresentare l’oggetto primario, è di fatto reso inumano per poter essere “controllato, immobilizzato, messo in condizione di non poter mai sorprendere” (41) e di non essere mai perduto. Nell’“ordine feticistico” l’altro è un supporto indispensabile per la sopravvivenza dell’Io (9). Ma anche nei pazienti nevrotici le difese perverse, indipendentemente dal fatto di essere sessualizzate o no, hanno un valore vitale nella gestione degli affetti, dell’autostima e delle relazioni intersoggettive (22) e rappresentano meccanismi fondamentali per creare i “rifugi della mente” evidenziati ubiquitariamente nella patologia da Steiner (62).




 




d)




SAINT-ANGE: “Per cortesia, un po’ di ordine in queste orge;




 ne occorre anche nel delirio e nell’infamia.









(Sade, La philosophie dans le boudoir)




 




 




-perversione e ossessioni: Quando la sovversione perversa si dà un proprio ordinamento stabile, preserva dall’ansia e dalla depressione, e quindi si sottrae allo sguardo indiscreto e sanzionante (dal punto di vista del perverso) dello psicopatologo. Nelle parole affascinanti di Baudrillard ( 12) il perverso “sfugge alla legge per abbandonarsi alla regola (…) è la regola, non la sregolatezza” che accomuna i due membri del patto perverso, all’interno del quale è possibile ogni trasgressione, ma non “l’infrazione della Regola”. La regola instaura una serie di segni convenzionali, una logica artificiale e iniziatica estranea al mondo reale, un giuoco che si sottrae sia al principio del piacere che a quello della realtà.  E’ nell’impianto ossessivo che sostituisce la Regola (la codifica, le enumerazioni etc.) alla Legge, ben evidente, oltre che nell’opera di Sade (58,59), in quella cinematografica di Peter Greenaway (27,28), che la perversione evoca forti analogie con l’universo anale deanimato e simbolicamente impoverito dell’ossessivo-compulsivo. La ripetizione e la ritualità, i cerimoniali e la cura dei dettagli caratterizzano entrambi, tuttavia il mondo erotico dell’ossessivo è totalmente asservito alla legge e ai divieti, così come quello perverso vi si sottrae, più che trasgredendoli, negandoli. Non casualmente i temi ossessivi, quando sono sessuali, sono perversi e, non potendo essere agiti, costituiscono l’oggetto delle più tenaci difese (28). Queste affinità fenomeniche, ed alcune segnalazioni di una risposta agli stessi trattamenti farmacologici hanno suggerito di includere le parafilie nello spettro dei disturbi ossessivo-compulsivi (38, 50, 28).




Il perverso può anche conservare tratti ossessivi scindendosi in due mondi: nel primo accetta il sistema di regole del giuoco perverso, nell’altro si attiene alla legge ed alle norme convenzionali (31). Vi sarebbero quindi due tipi di perversi, uno che si dichiara e si ostenta pubblicamente in modo esibizionistico. narcisistico e grandioso, l’altro che invece mostra una facciata di assoluta normalità (e spesso di moralismo), come il ministro vittoriano che fu trovato a flagellare le prostitute nei bordelli (ed è forse questo il vero perverso, sadico e crudele tanto più quanto più innocua e insospettabile è la sua “facciata”, tanto più ossequiosa e scrupolosa la sua moralità ostentata).




 




e)




Sei insostituibile. Per questo è dannata




Alla solitudine la vita che mi hai dato.




E non voglio essere solo. Ho un’infinita fame




D’amore, dell’amore di corpi senz’anima.




 




(Pasolini P.P., Supplica a mia madre,




 da “Poesie in forma di rosa”, 1961-4)




 




 




-perversione e melanconia: Nel lavoro chiave per la comprensione psicoanalitica delle perversioni, “Il feticismo” (35), Freud parla del meccanismo di scissione e diniego parziale della realtà sia in relazione alle angosce di castrazione (assenza del pene nella madre), sia, in due esempi minori, in relazione al lutto per la perdita del padre. E’ curioso che lo stesso Freud e la letteratura psicoanalitica successiva abbiano trascurato a lungo questa doppia funzione del feticismo, in quanto operazione mentale comune alla perversione e alla melanconia. Grunberger (37) ne ha forse per primo sottolineato l’assoluta aspecificità in quanto “l’intera vita psichica è governata da un incessante movimento dialettico tra la percezione e la non percezione (…) il sogno e la realtà, il razionale e l’irrazionale, la visione oggettiva e la prospettiva narcisistica” Ogni adulto, ad esempio, sa di essere mortale ma si comporta come se fosse immortale, e lo stesso processo del transfert implica la convinzione simultanea dell’identità reale e simbolica del proprio analista (37). La letteratura più recente ha reso giustizia a questa universalità dimostrando come castrazione e separazione possano entrambe essere aggirate mediante il meccanismo della Verleugnungfeticista (1, 30, 47). “In certi casi si può pensare che la nullità dei genitali (della madre) sia una metafora corporea di una serie di perdite evolutive culminate nella paura che non ci sia nessuno da amare o da cui essere amato (…) dietro lo schermo del rapporto (relatedness) tecnico.” (6). Appare sempre più scontato che meccanismi di tipo feticistico siano impiegati per rendere accettabili alcuni fatti universali della vita, quali “il riconoscimento del seno come oggetto massimamente buono, del rapporto sessuale tra i genitori come atto massimamente creativo, dell’ineluttabilità del tempo e, alla fine, della morte” (Money Kyrle, cit. in 62).




 L’identificazione delle dinamiche melanconiche e feticistiche è stata raffinatamente sviluppata da Giorgio Agamben (2) in un’analisi -nella quale le teoresi psicoanalitiche sono viste nella loro continuità psicostorica ed antropologica con la psicologia patristica, scolastica e neoplatonica: “l’ambizione specifica dell’ambiguo progetto” del malinconico consiste nella “capacità fantasmatica di far apparire come perduto un oggetto inappropriabile”. Infatti, “ricoprendo il suo oggetto coi funebri addobbi del lutto, la malinconia gli conferisce la fantasmagorica realtà del perduto; ma in quanto essa è il lutto per un oggetto inappropriabile, la sua strategia apre uno spazio all’esistenza dell’irreale e delimita una scena in cui l’io può entrare in rapporto con esso e tentare un’appropriazione che nessun possesso potrebbe pareggiare e nessuna perdita insidiare”.




 Concepita come “un processo erotico impegnato in un ambiguo commercio coi fantasmi”, la strutturazione (difensiva) melanconica ha dunque la funzione di rinviare all’infinito il lavoro del lutto mantenendo l’oggetto d’amore nell’ambiguo statuto di vivo e morto nello stesso tempo (33, 6). In questo, la malinconia, nell’analisi di Agamben condivide la Verleugnung col feticismo: come l’assenza del pene materno viene, secondo Freud (35), simultaneamente negata ed affermata dall’assunzione di un feticcio, così, nella malinconia, l’oggetto non è nè reale nè irreale, nè affermato nè negato, nè ”appropriato nè perduto, ma l’una e l’altra cosa nello stesso tempo” (2).




 Pur nella completa sovrapposizione formale dei meccanismi fantasmatici, perversione e melanconia si differenziano per il fatto che solo nella prima si manifestano obbligatoriamente nella sfera erotica, rendendole particolarmente “visibili” nei comportamenti. Gli psicoanalisti si trovano costretti a postulare l’evenienza di una “sessualizzazione” immaginaria infantile (a seguito di “attenzioni erotiche di adulti o per una particolare eccitabilità personale” –31)11. Ma si può forse pensare al ruolo quantomeno favorente di elementi presenti nella vita adulta, quali, molto banalmente, la bellezza fisica (secondo lo stereotipo del bello/a e perverso/a), o particolari fattori educativi o situazionali, che consentono o facilitano la messa in opera della “sessualizzazione” (o “erotizzazione”) di dinamiche melanconiche. La sessualizzazione è una strategia di potere che richiede una predisposizione, delle potenzialità (tra cui un adeguato “physique du rôle”) e l’acquisizione di abilità tecniche il cui raggiungimento rappresenta una fonte di gratificazione narcisistica. Non è altro che un processo tipicamente premelanconico di iperidentificazione ad un ruolo, di riduzione di sé a feticcio, del proprio agire a tecnica. Com’è particolarmente evidente nelle cosiddette “perversioni femminili” (39) il primo feticcio-oggetto sé del perverso è infatti il proprio corpo, distanziato ed usato intenzionalmente come strumento privilegiato di piacere e di potere, curato, abbigliato, idolatrato e idoleggiato, ma anche manipolato, aggredito, abusato e mutilato.




 Vi sono, ovviamente, perversioni del tutto indipendenti dai processi melanconici (post traumatiche, legate ai disturbi dell’identità di genere, a specifiche problematiche sessuali o anche solo uro-genitali), ma la differenza, formalmente e fenomenologicamente, viene meno quando il processo melanconico nasce o si esprime nel contesto di relazioni erotiche. L’utilizzo della “sessualizzazione” delimita un’area di confine, una nicchia o enclave all’interno dei disturbi dell’umore e dei suoi precursori, parzialmente sovrapposta a condizioni personologiche di tipo narcisistico, istrionico, borderline.


 



 


5. Dalla normalità alla patologia: l’innamoramento, l’ amore ed i suoi fallimenti




 




 




 (Lui): vedo che ti interessi alle notizie, a cosa accade nel mondo.




(Lei, ricoverata in clinica psichiatrica per una depressione): No! Ascolto le canzoni perchè dicono la verità.




Più sono stupide e più sono vere, e poi non sono stupide. Che dicono?




Dicono: “Non devi lasciarmi” “Senza di te non c’è vita” “Senza di te sono una casa vuota”  o




“Lascia che diventi l’ombra della tua ombra”, oppure




“Senza amore non siamo niente”




 




Da “La femme a côtè (La signora della porta accanto)” di F-.Truffaut




 




 




 Su un piano strutturale esiste quindi un ampio margine di sovrapposizione tra modalità relazionali perverse e strategie difensive antidepressive che viene sottovalutato dagli psichiatri sia perché non lo esplorano, sia perché lavorano sempre a posteriori, ricostruendo gli eventi antecedenti il tipo di manifestazione sintomatologica, mentre gli psicoterapeuti si trovano più spesso a seguire gli eventi durante il loro svolgimento, concettualizzandoli



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