Non so se definire crudamente misogine queste affermazioni uscite su Pontifex e poi riprese da un prete in provincia di La Spezia fino a scatenare risentite reazioni. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell'arroganza, ... si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni esistenti. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici e da portare in lavanderia, eccetera... Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (FORMA DI VIOLENZA DA CONDANNARE E PUNIRE CON FERMEZZA), spesso le responsabilità sono condivise.
Oppure, in alternativa, le si potrebbe giudicare arcaiche, preistoriche, fuori luogo, oscurantiste o, in maniera più tagliente, deliranti. Se capisco bene il pensiero di questo signore..., chiunque provochi, o si dimostri arrogante, si creda autosufficiente o finisca con l'esasperare le tensioni esistenti, quindi anche l'autore stesso di questi pensieri su Pontifex o qualsiasi autore, può essere additato, spesso, come corresponsabile di un eventuale esito violento di una controversia. Non vorrei mai immaginare che egli considera questi rilievi validi solo per le donne, quasi portatrici di un surplus di obblighi e di una carenza di diritti.
Pure abbastanza patetico appare il tentativo di ridimensionare il fenomeno del femminicidio, spinto com'è, apparentemente, dal tentativo di dimostrare che non esisterebbe l'emergenza e da quello di spostare, in parte, la responsabilità del fatto sulle donne stesse. Se ti violentano o uccidono è anche colpa tua, sembra ipotizzare l'autore.
Ma, aggiungo, è possibile estendere questa concezione dei rapporti uomo-donna a tutti i generi di rapporti? Per esempio, se un credente si trovasse in mezzo a non credenti, sarebbe giustificata una risposta violenta da parte di questi ultimi se il credente si facesse il segno della croce, baciasse il crocifisso o compiesse altri atti provocatori? E vale anche l'inverso: un non credente, che non si facesse il segno della croce, non baciasse il crocifisso o non compiesse altri atti da credente giustificherebbe una reazione violenta dei credenti? E che dire di chi va vestito con una tonaca nera e una croce, oppure senza tonaca e senza croce: chi giudica il livello di provocazione?
Mentre scrivo queste domande retoriche mi chiedo anche se sono impazzito se, ancora oggi addì 26 dicembre 2012, c'è bisogno di ribadire questi concetti fondamentali. Non ce ne sarebbe se le persone che hanno comunque qualche influenza (purtroppo, a volte) non se ne uscissero con queste perle:
Quante volte vediamo ragazze e anche signore mature circolare per la strada in vestiti provocanti e succinti?
Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre, nei cinema, eccetera?
Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e se poi si arriva anche alla violenza o all'abuso sessuale (lo ribadiamo: roba da mascalzoni), facciano un sano esame di coscienza: "forse questo ce lo siamo cercate anche noi"?
E non basta. Simile prodezze sono immediatamente seguite da queste altre:
Basterebbe, per esempio, proibire o limitare ai negozi di lingerie femminile di esporre la loro mercanzia per la via pubblica per attutire certi impulsi; [...] [perchè] le donne diventano libertine e gli uomini, già esauriti, talvolta esagerano.
Ancora una volta, potrei essere accusato solo di talvolta esagerare se, provocato da simili affermazioni palesemente discriminatorie, gonfiassi di botte di chi le ha fatte?
In un post dell'ottobre 2011 ragionavo sul fatto che l'invito della polizia di New York, in seguito a un'ondata di stupri, ad indossare abiti meno succinti non dovesse per forza avere contenuti sessisti, anche se un po' ne aveva, ma fosse possibile vederlo come un consiglio utile.
Qui il caso però è diverso, perchè da una parte si cerca di negare il fenomeno del femminicidio, o almeno lo si mette in discussione, cosa che potrebbe essere anche valida se non ci fossero le parole che vengono dopo, e contemporaneamente si cerca di gettare la responsabilità, o parte della responsabilità, sull'abbigliamento e sul fatto che le donne provocano, sono arroganti, esasperano le tensioni e si credono autosufficienti.
Ecco, è manifestamente razzista, discriminatoria e falsa, e va contro tutte le più elementari forme di rispetto e tutte le convenzioni e leggi a livello internazionale.
Non stupisce che le manifesti la parte più oscurantista, speriamo non maggioritaria, della chiesa e dei suoi paladini, ancorati a versetti scritti duemila anni fa e che, tra l'altro, prevedevano cose del genere: "«Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gen 3, 16)", ai quali Giovanni Paolo II oppone "La donna non può diventare «oggetto» di «dominio» e di «possesso» maschile". Solo che per giustificare le parole del Genesi è costretto a complicati ragionamenti "ma le parole del testo biblico riguardano direttamente il peccato originale e le sue durature conseguenze nell'uomo e nella donna". Si veda anche questa specie di arrampicata sugli specchi, sempre tratta dal Mulieris Dignitatem
L'autore della Lettera agli Efesini non vede alcuna contraddizione tra un'esortazione così formulata e la costatazione che «le mogli siano sottomesse ai loro mariti come al Signore; il marito, infatti, è capo della moglie» (5, 22-23). L'autore sa che questa impostazione, tanto profondamente radicata nel costume e nella tradizione religiosa del tempo, deve essere intesa e attuata in un modo nuovo: come una «sottomissione reciproca nel timore di Cristo» (cf. Ef 5, 21); tanto più che il marito è detto «capo» della moglie come Cristo è capo della Chiesa, e lo è al fine di dare «se stesso per lei» (Ef 5, 25) e dare se stesso per lei è dare perfino la propria vita. Ma, mentre nella relazione Cristo-Chiesa la sottomissione è solo della Chiesa, nella relazione marito-moglie la «sottomissione» non è unilaterale, bensì reciproca!
Se capisco bene, una frase come le mogli siano sottomesse ai loro mariti, andrebbe intesa, stravolgendone evidentemente il significato originario, e facendo fortunatamente intervenire un po' di pensiero moderno, come sottomissione reciproca nel timore di Cristo. In questo modo, la metafora marito-moglie assume al rango di quella Cristo-uomo, in cui l'uomo fa la parte di Cristo e la donna quella di uomo e donna.
Insomma, Giovanni Paolo II avvertiva tutta l'inattualità di pensieri così arcaici e, dovendoli adattare al modo di sentire attuale senza sconfessare la Bibbia, ha dovuto ricorrere, come capita sempre, alla libera interpretazione, molto forzata a volte.
Termino con l'aspetto, diciamo così, legale della questione: la provocazione.
La provocazione è causa di esclusione della pena, nei casi di ingiuria per esempio, quando la reazione avvenga nell'immediatezza del fatto, oppure di circostanza attenuante quando si reagisce in maniera violenta a un fatto ingiusto. Pur non dovendo sussistere una proporzione tra il fatto ingiusto e la reazione la sproporzione farebbe decadere il rapporto di causa tra i due fatti.
Non si parla dell'abbigliamento come causa di possibile provocazione.
Quanto alla tutela penale della libertà sessuale, questione che riguarda pienamente questo caso e che la legge prevede, esistono le seguenti norme contro la violenza sessuale.
Art. 3.
1. Dopo l'articolo 609 del codice penale e' inserito il seguente: "Art. 609-bis (Violenza sessuale). - Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorita', costringe taluno a compiere o subire atti sessuali e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorita' fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto;
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravita' la pena e' diminuita in misura non eccedente i due terzi".
Non esiste, nella legge in questione, a quanto mi è dato vedere, nessun riferimento alla presunta provocazione degli abiti succinti.
Concludo con una domanda: come mai paladini della chiesa e preti si affannano così strenuamente, e a rischio di cadere nel ridicolo sostenendo tesi così inumane, a cercare giustificazioni alla violenza sulle donne, quando ogni mente sana sa che non ne esistono (altrimenti si dovrebbero giustificare tutte le altre violenze)? Forse la misoginia svolge un ruolo preponderante, spingendo a cercare qualsiasi appiglio pur di criticare le donne. Per me non esiste nessuna questione al riguardo: seppure accettabile la verifica di una tendenza sociale in atto, materia del resto per statistici, altre cose come l'abbigliamento, l'atteggiamento, la ricerca della propria indipendenza e realizzazione, le convinzioni, le idee politiche, la religione, il sesso, l'etnia ecc. non possono e non potranno mai giustificare qualsiasi forma di violenza. E' la mia religione laica.
Aggiornamento: che poi questa storia delle donne che provocano e scatenerebbero il femminicidio è strampalata sul nascere. Buona parte degli omicidi di genere avvengono perchè alcuni uomini considerano le donne loro proprietà, al di là che siano vestite in maniera succinta o con lo scafandro da palombaro. E' l'idea balorda che un altro essere umano sia di nostra proprietà esclusiva e che perciò, finchè non cambiamo idea, non possa allontanarsi da noi. Sembra quasi lo stesso modello di pensiero che si potrebbe avere con un cane: non può lasciarmi perchè io sono il suo padrone. In questo, gli amanti dei gatti sono molto più avanti, ben conoscendo l'indipendenza di questo felino. E' una riprova della misoginia esistente aver confuso i due piani: non sono solo omicidi cosiddetti d'onore ma omicidi legati al concetto di proprietà di un altro essere umano, insofferenza che abbia una volontà sua e ambizioni personali al di là del focolare domestico e, infine, un modo di trattare gli altri tipico dei periodi più bui della nostra storia, che del resto non sono affatto finiti.
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