Siamo abituati ad attribuire alla parola crisi un’accezione negativa, benché il termine (in latino CRISIS e in greco KRÌSIS) rimandi etimologicamente al concetto di scelta, al momento che separa una maniera di essere diversa da altra precedente. In cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo “wei” significa problema, il secondo “ji” significa opportunità. Anche nella nostra lingua l’etimologia della parola crisi suggerisce un significato positivo: essa infatti contiene un aspetto vitale che è quello della separazione, ed un aspetto di crescita, ossia quello della scelta. La crisi non è dunque un evento totalmente negativo, bensì un momento di transizione che può essere anche opportunità di crescita: indica un’evoluzione, un cambiamento che poi siamo noi spesso a connotare negativamente.
Quando parliamo di crisi nella coppia occorre premettere che spesso questi periodi di cambiamento possono essere risolti in maniera autonoma. Il mondo “buono” non è quello dove non esistono i problemi, ma quello in cui le difficoltà non ci sovrastano, si possono affrontare e, in qualche modo, risolvere. E’ per questo che a mio avviso una coppia senza problemi è una specie di “non luogo”: sono le difficoltà che aiutano a crescere e ad apprendere come comportarsi nel futuro. Per dirla in breve: “Esperto è chi ha già commesso tutti gli errori”.
La crisi c’è quando un problema si dilata e perdura nel tempo mentre la coppia non riesce a farvi fronte. Ci sono meno soldi? Due partners possono decidere di stringere la cinghia, di chiederli ai genitori, vendere qualcosa, provare a cambiare lavoro e così via: metà della realtà è dietro i nostri occhi e, se riusciamo a farci andare bene che abbiamo meno soldi, possiamo essere sereni.
I motivi delle crisi profonde e destabilizzanti, i più complessi da affrontare, sono solitamente diversi dalle crisi fisiologiche che la coppia metabolizza, o con i quali comunque convive.
Semplificando al massimo possiamo tracciare 4 punti sui quali soffermarci per affrontare questo argomento
1) La presenza di famiglie di origine che interferiscono eccessivamente con il ménage della coppia. Questa eventualità accade solitamente o perché se uno dei due membri non si è mai realmente svincolato dalla propria famiglia, oppure quando per via di particolari accadimenti la famiglia di origine interviene eccessivamente sulla coppia, creando loro disagio. Chi non è ancora completamente uscito dalla propria famiglia di origine, solitamente, quando parla con il partner fa riferimento a quello che pensano i suoi genitori: “Andiamo in Messico? “No, meglio di no, altrimenti mia mamma me lo fa pesare perché dice che lì c’è il terrorismo”.
2) Rottura del patto implicito: ogni coppia basa il proprio rapporto su alcune condizioni che vengono esplicitate chiaramente (“guai a te se mi tradisci”) mentre altre rimangono “non dette” ma date per scontate per il buon proseguimento della storia (non si esplicita solitamente al partner che “se diventi uno stupratore non ti vorrò più con me” sebbene lo si pensi). Un partner può quindi tradire la coppia non soltanto andando fisicamente con un’altra persona, ma anche mancando alle aspettative non dette che vengono costantemente nutrite nei suoi confronti. Si pensi, ad esempio, alla donna che dice “non ha sposato me, ma il suo lavoro” e per questo si senta tradita dal marito e metta in discussione la progettualità della coppia.
3) Eventi della vita che vanno oltre la soglia della sopportabilità o che comunque siano imprevisti, come capita con la nascita di un bambino handicappato. Occorre qui prestare attenzione a non confondere il trauma con lo stress: il trauma è un qualcosa per cui non siamo psichicamente attrezzati e pertanto quando ci troviamo ad affrontarlo “squaderniamo”, mentre lo stress è qualcosa verso cui, al contrario, siamo attrezzati. Il fatto che nel corso della nostra vita prima muoiano i vecchi e poi i giovani ha un senso, mentre quando sono i bambini a lasciarci per primi, allora è insopportabile: non abbiamo “spalle psichiche” idonee per sopportare l’accadimento. Il trauma è un terremoto che ci scombina perché fa traballare le cose che in realtà dovrebbero stare ferme. E’ ovviamente una situazione che si può gestire, ma resta un evento che così come scuote il singolo, ha un effetto devastante anche nella coppia. Il lutto di una persona alla quale mi sono sempre aggrappato non è fisiologico, ma traumatico. Una malattia molto grave è un trauma. Un grave tracollo economico è un trauma. Di fronte a questi accadimenti può darsi che la coppia abbia le sue difficoltà e non tenga.
4) L’evoluzione di un solo partner. Se uno dei due partner evolve in modo da distanziare l’altro per via di una crescita di consapevolezza, di intraprendenza o di maturità, l’altro non lo riconosce più: “non è la persona che ho sposato”. Se invece entrambi evolvono (non necessariamente nella stessa direzione) è un discorso diverso. Ma se cambia solo uno dei due può essere rischioso: nella mia esperienza ho visto che sono più le donne a fare passi avanti, con gli uomini che non le riconoscono e, spiazzati, fanno cose “stupide” per tenerle alla pari (e quindi con risultati scarsi e spesso controproducenti).
La diminuzione dell’attrazione sessuale nella coppia non è in genere un motivo di crisi ma suo un effetto. Solitamente l’attività sessuale è strettamente connessa al benessere complessivo della coppia, pertanto questa componente (come anche quella della comunicazione) si può spesso considerare come una cartina tornasole.
Alcune coppie riescono a rimettersi in piedi da sole anche difronte a grossi traumi, altre decidono di rompere e provare a voltare pagina individualmente, altre ancora non hanno questa capacità ed entrano in una posizione di stallo, nella quale si ritrovano infelici e scontenti, incapaci di andare avanti o di tornare indietro.
Quest’ultima è forse la situazione più delicata e può capitare che sia la terza generazione a pagare il conto delle questioni non risolte: la situazione di stallo, generando insoddisfazione in almeno uno dei due membri, rischia di spingerlo (più o meno consapevolmente) a coinvolgere eccessivamente il figlio in problematiche che non gli riguardano, con il rischio di fargli assumere lo scomodo ruolo di partner sostitutivo.
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