I dizionari italiani definiscono ruffiano chi, per denaro o altro compenso, agevola gli amori altrui. Ma anche chi adula i potenti, sollecitandone la vanità, per ottenerne i favori. Quella del ruffiano è un’arte antichissima, e altrettanto vecchia è la parola che la individua.
L’etimologia di “ruffiano” è controversa.
C’è chi sostiene che derivi dall’ebraico “rephion”: mollezza, dissolutezza. Altri vi riconoscono la radice medievale germanica “ruf”, che significa rogna, tigna, ma anche sporco; da cui la voce italiana raffia=sozzura.
Ma ruffiano potrebbe derivare anche dal germanico “ruffi”: ghermire, arraffare, con la successiva aggiunta del sufisso latino “anus”.
Lo psichiatra Claudio Ciaravolo propende invece per un altro etimo: secondo lui, la radice di ruffiano è il latino “rufus”, rosso, che attraverso la forma secondaria “rufulus”, è diventato “ruflanus”.
I ruffiani nell’antica Roma molto probabilmente erano definiti così perché “trattavano” le prostitute che all’epoca avevano, come tratto identificatorio, i capelli rossi. Si trattava ovviamente di un artificio cosmetico: se fossero state autenticamente rosse, il loro prezzo sarebbe salito di molto. Le prostitute rosse(e anche se in misura minore le bionde) erano molto ambite, perché estremamente rare: le schiave vendute a questo scopo provenivano quasi tutte dal bacino del Mediterraneo, ed erano perciò di chiome generalmente corvine.
E’ per questo che i commercianti in prostitute, non avendo quasi mai in campionario delle ragazze con queste caratteristiche, provvedevano a tingere loro i capelli di rosso (o in qualche caso a scolorirli, per ottenere l’effetto biondo). In altri casi utilizzavano l’hennè, che dona riflessi rossastri ai capelli neri.
Erano dunque chiamati ruffiani perché rendevano rossi. Sulle rosse inoltre aleggiava (ma aleggia ancor oggi) un’aura di passionalità (il rosso è il colore dell’amore e della passione) e di indomabilità, che chiedeva solo di essere messa alla prova.
E’ per questo che il rosso ha sempre acceso i sensi del maschio: le labbra rosse di rossetto “mimano” altre labbra situate più in basso, che nel momento dell’eccitazione sessuale diventano iperemiche: dunque, più rosse.
Le donne questo lo sapevano, e continuano a saperlo: e tutte, non solo le prostitute, impiegavano tinture per capelli e – appunto – il rossetto.
Rosso e seduzione sono insomma particolarmente legati.
Il ruffiano doveva assecondare i gusti della sua clientela maschile e, da buon conoscitore dell’arte della seduzione, non poteva non avere con il rosso legami strettissimi. In effetti, al rosso il ruffiano doveva molto: a cominciare dal proprio nome.
Il ruffiano, pur commerciando in puttane, non era insomma un magnaccia: un protettore come lo intendiamo oggi. Essendo la vendita di prostitute perfettamente legale nell’antica Roma, non doveva infatti “proteggere” la sua merce dall’autorità, ma semplicemente renderla più appetibile. Il ruffiano, era, in definitiva, un esperto nel rendere sexy le proprie schiave: un consulente di immagine ante litteram.
Il tipo di lavoro svolto dal ruffiano traspare anche in un suo sinonimo: lenone. La radice di lenone è “lenire”: addolcire, migliorare.
Nel tempo, “ruffiano” è passato a indicare non più uno che ha a che fare con delle prostitute e procura la schiava più attraente ad un buon prezzo, ma un mediatore di matrimoni: un sensale.Utile a trovare una moglie brava e senza pretese o un marito lavoratore e buon padre.Anche in questo caso era necessario per il ruffiano saper sottolineare i pregi e nascondere i difetti. Ancor oggi, a Napoli, di qualcuno che si sta prodigando perché una certa unione vada in porto, si dice che ha “ ’e cazette rosse”: le calze rosse.
Oggi “ruffiano” viene usato per lo più nel significato di “adulatore”, e la cosa non è in contrasto con quanto detto finora: così come faceva il ruffiano dell’antica Roma, che rendeva più belle le sue “ragazze” per venderle meglio, e il sensale, che amplifica le qualità delle due persone che sta “trattando”, affinchè si piacciano, così l’adulatore (qualcuno direbbe: il leccaculo) “abbellisce”, amplificandoli, i meriti e le capacità del potente con cui sta parlando, al fine di ottenerne un vantaggio.
Spesso riuscendoci: pur sapendo perfettamente di avere a che fare con un ruffiano, assai spesso il potere(e non solo) è sensibile all’adulazione.
L’arte del ruffiano è comunque truffaldina. E’ per questo che Dante mette i ruffiani (insieme ai seduttori) nell’Inferno, tra i fraudolenti, nella prima bolgia dell’ottavo cerchio.
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