Siamo abituati ad attribuire alla parola crisi un’accezione negativa, benché il termine (in latino CRISIS e in greco KRÌSIS) rimandi etimologicamente al concetto di scelta, al momento che separa una maniera di essere diversa da altra precedente. In cinese la parola crisi è composta da due ideogrammi: il primo “wei” significa problema, il secondo “ji” significa opportunità. Anche nella nostra lingua l’etimologia della parola crisi suggerisce un significato positivo: essa infatti contiene un aspetto vitale che è quello della separazione, ed un aspetto di crescita, ossia quello della scelta.
La crisi non è dunque un evento totalmente negativo, bensì un momento di transizione che può essere anche opportunità di crescita: indica un’evoluzione, un cambiamento che poi siamo noi spesso a connotare negativamente.
Quando parliamo di crisi nella coppia occorre premettere che spesso questi periodi di cambiamento possono essere risolti in maniera autonoma. Il mondo “buono” non è quello dove non esistono i problemi, ma quello in cui le difficoltà non ci sovrastano, si possono affrontare e, in qualche modo, risolvere.
E’ per questo che a mio avviso una coppia senza problemi è una specie di “non luogo”: sono le difficoltà che aiutano a crescere e ad apprendere come comportarsi nel futuro. Per dirla con le parole di Carlo Rubbia: “Esperto è chi ha già commesso tutti gli errori”.
La crisi c’è quando un problema si dilata e perdura nel tempo mentre la coppia non riesce a farvi fronte. Ci sono meno soldi? Due partners possono decidere di stringere la cinghia, di chiederli ai genitori, vendere qualcosa, provare a cambiare lavoro e così via: metà della realtà è dietro i nostri occhi e, se riusciamo a farci andare bene che abbiamo meno soldi, possiamo essere sereni.
I motivi delle crisi profonde e destabilizzanti, i più complessi da affrontare, sono solitamente diversi dalle crisi fisiologiche che la coppia metabolizza, o con i quali comunque convive.
Semplificando al massimo possiamo tracciare 4 punti sui quali soffermarci per affrontare questo argomento
1) La presenza di famiglie di origine che interferiscono eccessivamente con il ménage della coppia. Questa eventualità accade solitamente o perché se uno dei due membri non si è mai realmente svincolato dalla propria famiglia, oppure quando per via di particolari accadimenti la famiglia di origine interviene eccessivamente sulla coppia, creando loro disagio. Chi non è ancora completamente uscito dalla propria famiglia di origine, solitamente, quando parla con il partner fa riferimento a quello che pensano i suoi genitori: “Andiamo in Messico? “No, meglio di no, altrimenti mia mamma me lo fa pesare perché dice che lì c’è il terrorismo”.
2) Rottura del patto implicito: ogni coppia basa il proprio rapporto su alcune condizioni che vengono esplicitate chiaramente (“guai a te se mi tradisci”) mentre altre rimangono “non dette” ma date per scontate per il buon proseguimento della storia (non si esplicita solitamente al partner che “se diventi uno stupratore non ti vorrò più con me” sebbene lo si pensi). Un partner può quindi tradire la coppia non soltanto andando fisicamente con un’altra persona, ma anche mancando alle aspettative non dette che vengono costantemente nutrite nei suoi confronti. Si pensi, ad esempio, alla donna che dice “non ha sposato me, ma il suo lavoro” e per questo si senta tradita dal marito e metta in discussione la progettualità della coppia.
3) Eventi della vita che vanno oltre la soglia della sopportabilità o che comunque siano imprevisti, come capita con la nascita di un bambino handicappato. Occorre qui prestare attenzione a non confondere il trauma con lo stress: il trauma è un qualcosa per cui non siamo psichicamente attrezzati e pertanto quando ci troviamo ad affrontarlo “squaderniamo”, mentre lo stress è qualcosa verso cui, al contrario, siamo attrezzati. Il fatto che nel corso della nostra vita prima muoiano i vecchi e poi i giovani ha un senso, mentre quando sono i bambini a lasciarci per primi, allora è insopportabile: non abbiamo “spalle psichiche” idonee per sopportare l’accadimento. Il trauma è un terremoto che ci scombina perché fa traballare le cose che in realtà dovrebbero stare ferme. E’ ovviamente una situazione che si può gestire, ma resta un evento che così come scuote il singolo, ha un effetto devastante anche nella coppia. Il lutto di una persona alla quale mi sono sempre aggrappato non è fisiologico, ma traumatico. Una malattia molto grave è un trauma. Un grave tracollo economico è un trauma. Di fronte a questi accadimenti può darsi che la coppia abbia le sue difficoltà e non tenga.
4) L’evoluzione di un solo partner. Se uno dei due partner evolve in modo da distanziare l’altro per via di una crescita di consapevolezza, di intraprendenza o di maturità, l’altro non lo riconosce più: “non è la persona che ho sposato”. Se invece entrambi evolvono (non necessariamente nella stessa direzione) è un discorso diverso. Ma se cambia solo uno dei due può essere rischioso: nella mia esperienza ho visto che sono più le donne a fare passi avanti, con gli uomini che non le riconoscono e, spiazzati, fanno cose “stupide” per tenerle alla pari (e quindi con risultati scarsi e spesso controproducenti).
La diminuzione dell’attrazione sessuale nella coppia non è in genere un motivo di crisi ma suo un effetto. Solitamente l’attività sessuale è strettamente connessa al benessere complessivo della coppia, pertanto questa componente (come anche quella della comunicazione) si può spesso considerare come una cartina tornasole.
Alcune coppie riescono a rimettersi in piedi da sole anche difronte a grossi traumi, altre decidono di rompere e provare a voltare pagina individualmente, altre ancora non hanno questa capacità ed entrano in una posizione di stallo, nella quale si ritrovano infelici e scontenti, incapaci di andare avanti o di tornare indietro.
Quest’ultima è forse la situazione più delicata e può capitare che sia la terza generazione a pagare il conto delle questioni non risolte: la situazione di stallo, generando insoddisfazione in almeno uno dei due membri, rischia di spingerlo (più o meno consapevolmente) a coinvolgere eccessivamente il figlio in problematiche che non gli riguardano, con il rischio di fargli assumere lo scomodo ruolo di partner sostitutivo.
Le caratteristiche della coppia sana
Vorrei in questo articolo parlare della coppia sana, intendendo questo termine non nell’accezione medica ma in quella di coppia che funziona e sta bene.
Prima di tutto è importante chiarire cosa sia una coppia. Personalmente credo che siano almeno 3 le caratteristiche minime necessarie a far sì che questo nome venga utilizzato in maniera propria e, in particolare, mi riferisco alla presenza di un legame, alla condivisione di un progetto e alla vicinanza fisica trai due soggetti. Certo sono queste delle indicazioni in linea di massima, non assiomi, e una coppia che non possegga questi minimi comuni denominatori ma si ritiene comunque tale, può spesso comunque farlo a ragione: si pensi, ad esempio, a due amanti che non si vedono da 5 anni ma coltivano il sogno di sposarsi.
Per essere definita "sana" la coppia deve possedere 4 caratteristiche, utili per facilitarla nel vivere serenamente quanto accade intorno a lei e al proprio interno.
La prima caratteristica è la percezione di una distribuzione equilibrata del potere tra i due membri. Non si intende con questo che è necessario l’accordo assoluto sul chi comanda e quando, ma che vi sia un pensiero condiviso circa la presenza di un equilibrio soddisfacente sulla gestione del potere. E’ importante che i membri della coppia abbiano questa percezione e che riescano almeno un po’ a metterla in pratica.
Altro fattore che può aiutare la coppia a stare meglio è la presenza dell’idea che la verità sia relativa. Non parliamo della “verità della vita”, ma del fatto che “chi ha ragione e chi ha torto” sia un concetto relativo e non assoluto. Ammettere che esistano “le mie ragioni e le tue ragioni” è un pensiero che fa bene alla coppia, soprattutto se si applica concretamente alle discussioni: “anche le tue ragioni hanno una certa credibilità”, “anche le mie ragioni sono umane, vuoi capirlo?”.
Il terzo punto è, in realtà, un’idea paradossale: una coppia sta meglio se ciascuno dei partner riesce a dire “potrei anche vivere senza di te”. E’ questa un’idea costitutiva della relazione che però la difende e tutela, perché le dà il valore relativo che tutto ha nella vita. Se penso che “se tu non ci fossi io morirei” non aiuto la coppia, mentre se penso che riuscirei a sopravvivere, la coppia ne trae vantaggio.
Questa è un’idea paradossale difficilmente comprensibile dalle coppie che si sono conosciute da poche settimane (si consideri che per definire una coppia “stabile” si ritiene debbano passare 2 anni) perchè capita, soprattutto in un primo momento, che la passione travolga alcuni dati di realtà. Tuttavia, se si pensa al “non essere insieme” come una condizione di intenso dolore, ma diverso dalla fine di tutto, la coppia relativizza l’assoluto e fa un passo verso la serenità. E’ questo un atteggiamento che permette la costruzione di un retroterra mentale che prepara a gestire le difficoltà che possono presentarsi nella vita. Se poi il partner tradisce, lascia o muore, è scontato che ci sarà la disperazione, ma con questa idea in testa la coppia ha una flessibilità tale che, paradossalmente, può fruire meglio lo stare assieme.
Infine, per vivere in maniera “sana” la coppia, c’è la questione, forse più scontata, del preservare ampi gradi di autonomia personale. Ovviamente i partner sono dipendenti l’uno dall’altro ma, se i gradi di autonomia personale sono elevati, visibili e buoni, la coppia sta meglio, poiché i partners non sono eccessivamente attaccati su loro stessi.
Se queste caratteristiche sono presenti la coppia ha meno bisogno di una terapia e riesce a risolvere i problemi per conto proprio, perché dotata di una buona fisiologia propria.
A questi 4 fattori mi sento di aggiungerne due che, a mio avviso, vanno tenuti in uguale considerazione.
Il primo è il pensare che la frase “in un matrimonio bisogna sopportare tutto” sia falsa: non bisogna stare male per forza e i compromessi sono giustificati se all'interno di una relazione soddisfacente. Sarebbe meglio pensare, piuttosto, che la coppia “non è un paradiso, ma nemmeno un inferno”.
Il secondo fattore è la presenza di un’idea per la quale il disagio della coppia è co-costruito: tutti e due i protagonisti hanno un po’ di potere e di autonomia, pertanto quando stanno male ognuno avrà la propria parte di responsabilità. Frasi che mi capita di sentire quali “per favore dottore mi cambi mia moglie” risuonano ben diversamente da altre quali “che casino che abbiamo combinato” e possono essere un interessante indice prognostico qualora si intraprenda un percorso terapeutico.
Il fattore del sesso, per quanto importantissimo nella vita di una coppia, non è invece indice della possibilità di chiamare due persone “coppia” oppure no.
Ci sono coppie che vanno in terapia perché da diverso tempo non hanno rapporti sessuali, si può forse dire loro “non siete una coppia”?
Si pensi ad Abelardo ed Eloisa, coppia amorosa che fa parte dell’immaginario collettivo europeo al pari di Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, Romeo e Giulietta: Abelardo era una persona logica, il maestro dei maestri che, quando discuteva, nessuno sapeva tenergli testa. Si innamora di Eloisa, ma lo zio di lei era contrario alla relazione e decide di pagare una persona per evirarlo. Abelardo sopravvive e con lui anche il rapporto di amore con Eloisa: non potranno avere rapporti sessuali ma si scriveranno tanto da produrre un epistolario che parla dell’amore romantico.
Una coppia di certo lo sono stati anche loro: pur non avendo mai fatto sesso, la parte romantica della loro relazione è riuscita a compensarne le mancanze.
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